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 2016  agosto 09 Martedì calendario

Se Niccolò Campriani ha vinto l’oro è grazie a Petra

A Londra dopo l’ultimo centro si girò e sorrise alzando le mani al cielo in un gesto di liberazione. Oggi, dopo l’oro, ha quasi scaraventato la sua carabina a terra scaricando di colpo tre anni di rabbia. Un periodo lunghissimo che ha lasciato parecchie ferite sul corpo e nell’anima di Niccolò Campriani, uno dei pochi azzurri capaci di vincere due ori olimpici consecutivi ma anche uno degli atleti più atipici del panorama italiano: internazionale per formazione, riflessivo per indole, tanto “morbido” – come dice ridendo la sua fidanzata Petra – quanto tormentato.
Se quella del suo oro del 2012 era una storia di resilienza, un viaggio alla ricerca di se stesso, questa di Rio è invece la cronaca di un conflitto irrisolto tra Campriani e il suo mondo. Un mondo che improvvisamente si è rovesciato contro di lui: «Gli ultimi tre anni – dice oggi Niccolò – sono stati difficili, e ho finito per odiare il mio sport». Ma cosa era successo? La federazione internazionale dopo aver fatto finta di ascoltarlo nell’ambito di un tavolo per riformare lo sport ha fatto tutto il contrario di quello che lui, come portavoce di altri tiratori d’elite, aveva suggerito. E aveva cambiato il formato della finale venti colpi sparati alla disperata, partendo tutti da zero – in maniera tale da penalizzare i più talentuosi a van- taggio, presunto, dello spettacolo.
Sin dal 2013, quando ha ripreso l’attività dopo Londra, Niccolò è precipitato al centro di una crisi agonistica e sportiva mostruosa: «Fortuna che con me c’è sempre stata Petra ( Zublasing, anche lei tiratrice anche lei qui a Rio, ndr) senza di lei non ce l’avrei mai potuta fare, mi ha sopportato anche se non sono certo stato una persona semplice da avere vicino. Le devo tutto e non vedo l’ora adesso di sostenerla in gara». Insieme i due hanno girato il mondo, un po’ per le gare, un po’ per svago, insieme sono stati in Giappone, in Corea, in Vietnam, insieme sono stati ricevuti da Obama per i meriti sportivi conseguiti presso la West Virginia University. E insieme hanno anche deciso che no, lui non si sarebbe arreso.
Così, proprio come nel 2008 dopo la delusione di Pechino, Campriani decise di trasferirsi in America per poter realizzare i suoi sogni, allo stesso modo nel 2013 ha scelto di rilanciare forte, ancora una volta, sulla sua vita extra sportiva. Dapprima ha avviato un progetto con la Pardini per costruire una carabina tutta italiana apposta per Rio poi, non soddisfatto, ha vinto uno stage presso la Ferrari, nei cui laboratori ha progettato una morsa per aiutare i tiratori a scegliere le cartucce migliori.. Con l’avvicinarsi delle Olimpiadi, Niccolò ha intensificato l’attività agonistica. Ma nonostante fossero passati tre anni, qualcosa ancora non andava. Quelle finali da circo proprio non gli andavano giù. La svolta è arrivata poco prima della partenza per Rio quando durante un viaggio a San Francisco, Niccolò ha avuto chiara la visione del proprio futuro, un lavoro da ingegnere in Usa tra start up e tecnologia all’avanguardia. È stato come un clic, come se quell’orizzonte di nuovo aperto gli avesse dato un buon motivo per tornare in pista: «Vabbé dai, alla fine le regole sono queste. Farò il meglio che posso, speriamo che basti».
È bastato. Anche se per un attimo si è temuto il peggio. Perché dopo essersi qualificato facendo il record olimpico, i fantasmi di questi ultimi tre anni si sono materializzati tutti insieme: il punteggio azzerato in avvio, il chiasso dei tifosi indiani che urlavano proprio quando lui stava per sparare, i tempi lunghi tra un tiro e un altro. A metà della finale Niccolò era quarto ben distante dal primo. Ma proprio in quel momento è venuto fuori il campione: «Ho pensato a mio padre», racconta. Nicco si è chiuso nel suo muro di concentrazione e, per un istante, è tornato quel bambino felice che sparava “insieme al babbo” al poligono di Bibbiena, con una pistola vecchia, «facendo attenzione a non disturbare un uccellino che aveva fatto il nido proprio sotto il bersaglio a fianco». E quel bambino, ora è un uomo felice.