Il Messaggero, 7 agosto 2016
A Roma tra disperati, topi e fogne a cielo aperto
Si troverà mai una soluzione, che invece dovrebbe essere urgente perché questa sta diventando una delle grandi emergenze di Roma, per i campi profughi che aumentano, s’allargano, creano paura in pezzi di città e sono spesso inferni di degrado? C’era una volta a via Cupa, due passi dal Verano e dall’università, il centro d’accoglienza Baobab e ora al suo posto ecco l’accampamento abusivo in mezzo alla strada e un laghetto di urina è la prima immagine che regala questo luogo che andrebbe smobilitato all’istante – con i suoi materassi rotti, i sette wc box che non bastano per centinaia di ragazzi, donne, bambini eritrei, etiopi, del Sudan, del Niger, i derelitti che dormono per terra, i topi che mangiano i resti di cibo e i piccioni che finiscono i resti dei resti – ma servirebbe una politica, o almeno una idea, per liberare Roma dalla propria inadeguatezza di fronte al problemone. Il dramma riguarda anche i romani che abitano in questa zona. Uno striscione patetico è stato appeso al muro da un gruppo di residenti: «Strada privata». Macchè: bolgia e favela. La polizia passa e se ne va. Una signora, che ha casa all’imbocco della via che vorrebbe liberata, si sfoga: «La Raggi, la Raggi... So’ tutti bboni a parla’!». Anche quelli che c’erano prima della nuova sindaca. E di fatto la soluzione non si trova, i cassonetti della spazzatura sono stracolmi, tutt’intorno la sporcizia dilaga, e la scabbia spadroneggia.
FUOCOAMMAREOgni tanto arrivano alcuni medici del San Gallicano, guidati dal dottor Morrone che è un po’ come quello di Lampedusa in «Fuocoammare», montano un paravento in mezzo alla strada e fanno le visite. Qui è così, e nella tendopoli della Croce Rossa dall’altra parte di Roma – al Portuense, via Ramazzini – è tutto più decente, ma le centinaia di profughi che arrivano e si moltiplicano giorno dopo giorno sciamano nel quartiere e la gente è spaventata. «Non c’è neanche un poliziotto che li blocchi quando escono – si lamenta un signore che prima parcheggiava la macchina fuori dal grande compound della Cri e ora non lo fa più – e si vedono solo boy scout da queste parti. Ma per aiutare loro, non noi». C’è un bel ragazzo di 19, anni, Devotion dice di chiamarsi, è nigeriano, racconta in buon inglese: «Noi non siamo dell’Isis. Fuggiamo dall’Isis». Il traffico degli esseri umani che arrivano con i barconi dalla Libia, e poi finiscono a via Cupa e a via Ramazzini, spesso però «è gestito dall’Isis e da altre milizie armate», secondo Yrgalem, eritreo che fa il volontario nella vergogna abbandonata del Tiburtino.
Qui ieri è tornato Andrea Micangeli, docente di ingegneria alla Sapienza, per controllare se funzionano i due piccoli pannelli solari che ha montato in via Cupa per far caricare i telefonini che servono ai profughi per cercare una improbabile sistemazione all’estero: «Io – racconta il prof – ho girato centri profughi ovunque, dall’Africa all’America Latina, un disastro come questo di via Cupa non l’ho mai visto». Vetri, cartacce, panni appesi, scarpe disseminate ovunque, brutti odori, e ci mancava soltanto la coppia Varoufakis-De Magistris che mesi fa è venuta a fare un comizio in questo sotto-mondo. In questa sorta di discarica dell’accoglienza male intesa in una città, Roma, in cui secondo certi calcoli – ma tutto è incontrollato – sarebbero arrivati in sette mesi 78.000 profughi e non si sa dove tenerli. Mentre un doppio arrangiatevi è l’unica politica su piazza: s’arrangino i profughi in mezzo ai loro giacigli e alle loro malattie; e s’arrangino i romani che abitano intorno alle tendopoli, che si sentono inascoltati nel loro giusto bisogno di sicurezza.
IL CIMITEROIl Verano, se l’afflusso di disperati a via Cupa non s’arresta, diventerà come il cimitero del Cairo in cui i poveri vanno a dormire nelle tombe? Intanto, tra le tende di via Ramazzini si vedono ragazzi che pregano in ginocchio, rivolti alla Mecca. Un camion dell’Ama ha caricato una montagna di spazzatura: «Dove la portiamo? Boh». E molti profughi, poco più che bambini, stanno stesi per terra a disegnare su pezzi di cartone e disegnano per lo più barconi che affondano o che attraccano: la loro storia. Devotion, il nigeriano, ha tentato di arrivare a Mentone ma è stato bloccato: «In Francia ci sparano, bum bum», racconta, «e in Germania non ci vogliono più. Restiamo in Italia e in qualche maniera faremo». Anche se non si sa che cosa fare di loro, se l’Italia scoppia e se all’esterno del campo della Croce Rossa si moltiplicano i manifesti sui muri che dicono: «No alla tendopoli, fuori gli immigrati dai nostri quartieri».