La Stampa, 7 agosto 2016
«Hawala» e «smurfing» due tecniche per dare i soldi ai jihadisti senza lasciare tracce
Lo «smurfing» è quello che va per la maggiore. Basta infatti frazionare gli importi da trasferire sotto la soglia di legge, che money transfer è sempre fissata a quota 1000 euro, ed il gioco è fatto. O quasi, perché una singola operazione da 999 euro magari sfugge ai controlli, mentre una raffica di più bonifici è molto probabile che venga intercettata da Uif e Finanza.
Ma i modi utilizzati per far correre denaro senza lasciare troppe tracce sono anche altri. Tant’è che secondo la Finanza le statistiche ufficiali «potrebbero sottostimare il dato effettivo dei trasferimenti di denaro all’estero, in quanto non è possibile quantificare, anche in via di approssimazione, i trasferimenti che avvengono attraverso altri canali informali».
Il più pericoloso, perché non lascia davvero alcuna traccia dei flussi finanziari, è il cosiddetto metodo «hawala», un sistema vecchio di secoli inventato in Medio oriente e per questo molto utilizzato anche oggi dai migranti.
«Mediante tale sistema – spiega in una relazione depositata alla Camera il generale Stefano Screpanti, che guida il III Reparto Operazioni della Guardia di Finanza – il “cliente” avvicina in Italia un mediatore (“hawaladar”) e gli consegna una somma di denaro da trasferire in un altro paese. Quindi, l’hawaladar operante in Italia contatta il suo omologo “estero” e gli fornisce le dovute informazioni su chi sia il destinatario dei fondi e sulla somma di denaro da consegnare promettendo di saldare il debito in una data successiva. Non vengono scambiati strumenti cambiari o di alcun altro genere, in quanto le transazioni sono basate unicamente sull’onore e su un sistema di registrazioni “informali” e su meccanismi di “compensazione”».
Anche le carte prepagate e ricaricabili, ovvero la «moneta elettronica» garantisce «di fatto la possibilità di spostare fondi ovunque, anche a beneficio di soggetti sconosciuti, favorendo di conseguenza la mancata identificazione del titolare effettivo dei capitali movimentati». In questo caso «uno specifico profilo di rischio è rappresentato dalla possibilità di emettere più carte (le cosiddette “twin card”) a favore del medesimo nominativo, legittimandone, in tal modo, l’utilizzo da parte di più persone ed eludendo i presidi previsti dalla normativa antiriciclaggio. È possibile, infatti, effettuare accrediti a favore delle carte “ricaricabili” in qualsiasi parte del mondo e contestualmente, la presenza di una carta “gemella”, permette l’utilizzo del plafond finanziario da parte di soggetti che non possono venire identificati (come dispone la legge)».
Infine ci sono i cosiddetti bitcoin, che come tutte le altre valute virtuali sono «causa di ulteriori fattori di potenziale vulnerabilità del sistema di prevenzione e controllo».
Non sono infatti emesse da una banca centrale o da una autorità pubblica ma vengono utilizzate per effettuare operazioni on line tra soggetti che possono operare in stati diversi, non facilmente individuabili grazie al sostanziale anonimato delle transazioni finanziarie.
E siccome gli operatori che trattano bitcoin non figurano tra i destinatari della normativa antiriciclaggio non sono tenuti né ad osservare gli obblighi di adeguata verifica della clientela, né tantomeno quelle di registrazione dei dati e di segnalazione di operazioni sospette.