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 2016  agosto 06 Sabato calendario

La lunga rincorsa delle donne olimpiche

Lo sport è molto più giusto della vita. Sa dare a Cesare quel che è di Cesare e alle donne quel che è delle donne. Già a Londra 2012 tutti i 207 Paesi avevano almeno una donna, compresi quelli musulmani, ma a Rio la presenza femminile si è allargata ulteriormente. La parità è a un passo, la stessa Italia con le sue 144 su 314 qualificati è al 46 per cento. Numeri impensabili fino a non molto tempo fa, a Los Angeles, circa trent’anni fa, erano un terzo.
 Strada ne è stata fatta tanta da quei primi Giochi, Atene 1896, con soli uomini a disputare gare di scherma, nuoto, atletica, tiro a segno, tennis, ginnastica, pesi e ciclismo. È stata una lunga rincorsa, passata attraverso il primo oro al femminile della tennista Charlotte Cooper nel 1900, la prima portabandiera donna italiana (Miranda Cicognani nel 1952), fino all’ultimo tedoforo di Mexico68: è una donna, l’atleta Norma Enriqueta Basilio de Sotelo. 
Dalle piste, dalle pedane, dalle corsie, poi le atlete sono cresciute ancora fino a conquistare, seppur con sforzi immensi, ruoli di vertice nel governo mondiale dello sport. Per quattro anni, dal 2012 all’altro ieri, il Cio ha avuto come vicepresidente una ex atleta del Marocco, Nawal El Moutawakel, 54 anni, oro olimpico a Los Angeles nei 400 ostacoli. Da pochi mesi, la Fifa, la federazione che sovrintende al calcio mondiale, ha un segretario generale donna. Il presidente Gianni Infantino ha scelto la senegalese Fatma Samba Diouf Samoura, anche lei 54enne. 
Anche la cerimonia di apertura di ieri ha raccontato la lunga marcia delle donne. Compresa l’Italia con Federica Pellegrini, più di un quarto dei Paesi hanno scelto ragazze: la Grecia, la prima a sfilare secondo la tradizione, era guidata per la prima volta da una donna, la velista Sofia Bekatorou. In rosa anche il Brasile, ultimo nella cerimonia di ieri, con la pentatleta Yane Marques, scelta attraverso il web. E poi il Kosovo, alla sua prima Olimpiade, con la judoka Majlinda Kelmendi, la Giamaica con la velocista Shelly-Ann Fraser, la Romania con la ginnasta Catalina Ponor, che ha avuto un onore non concesso neppure alla immensa Nadia Comaneci. Poi, c’erano le due ragazzine del Togo e del team del rifugiati, che sono, già prima di iniziare, due mezze star. Adzo Kpossi, ha 18 anni e conosce bene le platee internazionali: era già ai Mondiali di nuoto di Shanghai 2011 e Londra 2012. Con lei alla sfilata anche Yusra Mardini, portabandiera della squadra dei rifugiati: ha attraversato l’Egeo in fuga dalla guerra siriana, ha trovato una piscina a Berlino: «Voglio che tutti i rifugiati siano fieri di me e che il mondo sappia che, pur venendo da percorsi difficili, possiamo competere e avere successo». 
In questi Giochi, nati così sotto cattiva stella, solo gli atleti possono fare la differenza, possono far sognare un popolo (quello brasiliano) e il mondo. Sulla pedana della ginnastica l’americana Simone Biles può incantare, nelle piscine olimpiche la sua connazionale Katie Ledesky divorerà acqua e medaglie, puntando al record di Debbie Meyer che nel 1968 vinse 200, 400 e 800 metri stile libero. Allyson Felix vuole diventare la terza donna nella storia olimpica capace di vincere nella stessa edizione 200 e 400 e le tre gemelle estoni Leila, Liina e Lily Luik, qualificate per la maratona, sono un record prima di iniziare. Come lo è Ibtihaj Muhammad, prima atleta americana a gareggiare con l’hijab in testa: «Mostrerò le donne musulmane sotto un aspetto diverso», spiega e Zora Tulum, coach della spada Usa, aggiunge: «È una rarità ma tutto questo sono gli Stati Uniti». 
Altri Paesi, come gli Emirati Arabi cercano il cambiamento e scegliere la nuotatrice Nada Al-Badwawi, impegnata in progetti a favore delle donne, è più di un messaggio. Situazione complicata, invece, in Arabia Saudita: per le donne arabe la partecipazione ai Giochi dipende – viste le norme religiose in vigore – da un invito del Cio. Invito arrivato, come a Londra, e quattro donne arabe in gara a Rio ma le autorità saudite hanno fissato tre condizioni per poter dare l’ok alle atlete: indossare un adeguato abbigliamento per la religione, approvazione del marito alle gare in Brasile; non entrare in contatto con gli uomini. 
Questo è ancora in certi angoli di mondo il destino delle donne, che può essere cambiato anche dai Giochi. Da questa edizione nella vela è prevista la categoria Nacra 17, con un uomo e una donna a bordo a guidare il vento (segnatevi la coppia italiana Vittorio Bissaro e Silvia Sicouri). Sono piccoli passi di un lungo cammino iniziato da 22 pioniere con lunghe gonnellone ai Giochi di Parigi 1900.