Il Sole 24 Ore, 6 agosto 2016
Ama e trasporti, un debito da 2,8 miliardi
Il caso dell’Ama che imperversa nelle cronache romane di questi giorni, e sulle strade della Capitale con i rifiuti più o meno ingombranti accumulati intorno ai cassonetti, è solo il capitolo più evidente di un problema partecipate che da anni schiaccia il Campidoglio, e che ora è al centro dell’assessore al Bilancio Marcello Minenna dopo essere stato al centro di piani di razionalizzazione andati avanti a singhiozzo.
Due numeri sono sufficienti per capire i termini del problema. Le partecipate, come mostra la nota integrativa sul tema allegata all’ultimo bilancio di previsione firmato dalla gestione commissariale, costano quest’anno al Comune 1,67 miliardi di euro. L’altra cifra chiave riguarda i debiti, che solo per le tre big rappresentate da Ama, Atac e Roma metropolitane viaggiano a quota 2,8 miliardi. Una cifra monstre, che si ridimensiona solo se paragonata ai 10 miliardi di debiti accumulati negli anni in prima persona dal Comune, 8,8 dei quali sono a carico della gestione commissariale nata nel 2008 per evitare il default esplicito della Capitale.
I costi a carico del Comune per le 37 partecipazioni dirette censite nella nota integrativa al bilancio non sono tutti sprechi, ovviamente, perché servono a pagare stipendi e servizi indispensabili. La spesa, com’è inevitabile, si concentra però proprio nei due servizi dove la crisi strutturale della Capitale si fa più evidente, cioè l’igiene urbana e la mobilità.All’Ama, nonostante la revisione avviata negli ultimi due anni che nel 2015 ha portato per la prima volta da parecchio tempo una mini-riduzione della Tari presentata ai cittadini, il Campidoglio ha previsto di staccare un assegno complessivo da 834 milioni di euro, che portano a Roma il record dei costi pro capite per l’igiene urbana (si veda Il Sole 24 Ore di martedì scorso). All’Atac, invece, dal Comune arrivano quest’anno pochi spiccioli meno di 610 milioni, mentre per i prossimi due anni la previsione già parla di un ritocco ulteriore verso quota 618,5 milioni.
Il problema assume le sue dimensioni piene quando si mettono a confronto queste cifre con i livelli di qualità assicurati ai cittadini nei due servizi essenziali. Accanto alle difficoltà dell’igiene urbana, noti ormai a livello globale dopo che il Financial Times ieri ha mostrato sulla propria home page le immagini delle strade romane a corredo di un articolo sulle accuse incrociate di “golpe dei rifiuti”, l’affanno dell’Atac rimane per ora lontano dalle prime pagine nazionali; promette però di arrivarci in fretta se si tradurrà in realtà il taglio delle corse fino al 40% ipotizzato nei giorni scorsi per la Metro A a causa della mancata manutenzione dei treni per la quale mancano gli stanziamenti in bilancio.
Ma i nodi da sciogliere nelle partecipazioni romane non si concentrano solo nelle aziende più grandi. Ieri è stato un giorno di sciopero per gli addetti di Farmacap, la società che gestisce le 45 farmacie comunali della Capitale, in protesta contro la gestione delle aperture agostane. Farmacap insieme ad altre 26 partecipazioni aveva trovato spazio nel piano di privatizzazioni e dismissioni che il Comune, sotto la guida di Ignazio Marino, aveva scritto per disboscare la foresta delle aziende capitoline. Le turbolenze politiche continue intorno al Comune non hanno però aiutato a tradurre i progetti in fatti, al punto che l’ultimo allarme sulle partecipate è arrivato sulla scrivania del sindaco pochi giorni fa, alla fine di luglio. A firmarlo è stato il collegio dei revisori, nel parere sull’assestamento di bilancio. Per rimettere in sicurezza la gestione, hanno scritto i guardiani dei conti, il Comune deve liberarsi delle partecipate lontane dalle attività istituzionali, e razionalizzare quelle più in linea con il core business municipale. Un allarme non proprio inedito, nell’infinita emergenza del Campidoglio.