Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  agosto 06 Sabato calendario

Boom di occupati negli Usa. Una buona notizia, ma non per Trump

Tra i tanti segni incoraggianti che possono essere cercati e trovati nell’ultimo dato americano sul mercato del lavoro ce n’è uno che, abitualmente minore, potrebbe essere facilmente trascurato. Ma questa volta verrebbe tralasciato a torto: è il tasso dei disoccupati tra gli americani meno istruiti.
Ad esempio coloro che non hanno finito la scuola media superiore e difettano di diplomi di maturità o equivalenti. Ebbene la grave crisi prima e la debole e diseguale ripresa poi, combinate con i postumi della globalizzazione, sono state particolarmente penalizzanti per questi lavoratori, tenendone testardamente alto il loro scarso impiego. Tanto da farne anche una forza insolitamente influente in un anno elettorale, nerbo di quel sostegno al candidato repubblicano alla Casa Bianca Donald Trump che sull’emarginazione e frustrazione di quegli americani, spesso bianchi e meno abbienti, ha costruito le sue fortune politiche.
Non è più così, almeno se vogliamo dare credito alle nuove statistiche: luglio ha segnato anche un record positivo per questo “segmento” spesso nascosto. La disoccupazione tra chi ha più di 25 anni e non ha completato studi liceali ha mietuto 118.000 meno vittime il mese scorso, un totale di 669.000. Abbastanza per far scivolare la soglia al livello più basso da quando questa statistica è entrata nel novero dei calcoli del Dipartimento del Lavoro, vale e dire il 1992: il tasso di disoccupazione è diminuito al 6,3% dal 7,5 per cento. E si trova ai livelli più confortanti dall’ottobre del 2006.
Questi dati, se confermati nel tempo, potrebbero diventare rivelatori di cambiamenti da tenere sotto stretta osservazione per le loro implicazioni, economiche e, appunto, politiche. La ripresa americana, per quanto sempre sottotono, potrebbe cominciare davvero ad ampliare i suoi effetti benefici. Uno sviluppo auspicato da tanti, a cominciare dai più progressisti esponenti alla guida della Fed (compreso il presidente Janet Yellen): può essere una nuova, tardiva conferma che i “difetti” dell’espansione hanno davvero ancora significative ragioni congiunturali e di debolezza della domanda piuttosto che anzitutto strutturali. Che le “sacche” di disoccupazione, dunque, anche nel più fragile “new normal” rispondono tuttora a politiche accomodanti e di stimolo se orchestrate adeguatamente e difese sufficientemente a lungo. Una rivincita ulteriore, insomma, della credibilità della strada scelta dalla Fed prima con la sua aggressività negli stimoli e poi – a tutt’oggi – con l’estrema gradualità nella normalizzazione di politica monetaria. Senza contare l’aiuto che, questa credibilità e questa economia, tuttora sono in grado di assicurare a un’espansione globale alle prese con molteplici ansie, da Brexit alla frenata cinese. 
Ma non possono essere sottovalutate, nel clima di populismo diffuso e a volte carico di toni preoccupanti, neppure le potenziali ripercussioni politiche. È presto per trarre conclusioni certe, ma un continuo risanamento potrebbe togliere ossigeno alla campagna di Trump, o quantomeno aumentare le pressioni perché si converta ad un percorso meno radicale. Le spinte caratterizzate da razzismo, invettive anti-immigrazione, drastico protezionismo commerciale e nazionalismo e isolazionismo in politica estera potrebbero uscirne ridimensionate.
Un piccolo dato sul mercato del lavoro, insomma, potrebbe fare per l’elettorato motivato da sperequazioni e tensioni economiche quello che sembra aver fatto per tanti un piccolo discorso alla Convention democratica, quello di Khizr Khan, padre di un capitano musulmano-americano morto eroicamente in Iraq salvando i commilitoni da un’autobomba. Gli attacchi alla famiglia Khan hanno svelato agli americani i contorni più intolleranti e intollerabili della campagna Trump. Il difficile, faticoso, ma continuo rilancio della crescita potrebbe dar vita a una svolta, evidenziare i meriti di politiche razionali che facciamo i conti con le sfide del presente e del futuro.