la Repubblica, 7 agosto 2016
La scalata di Bolloré in Mediobanca per conquistare Generali. L’ultima mossa del bretone
Prima Mediobanca, e passi. Poi Telecom, causa di più di una frizione con Palazzo Chigi. Poco dopo Mediaset, e anche qui qualche scintilla italo-francese. Ma adesso nella calata di Vincent Bolloré su finanza e comunicazioni di casa nostra, c’è un nuovo dato che allarma il governo. Il poliedrico bretone – è il timorenei palazzi della politica – potrebbe puntare a un rafforzamento in Mediobanca che si può leggere – e per l’appunto viene letto come una virata decisa verso le Generali, di cui la stessa Mediobanca è primo socio con poco più del 13%. Del resto il Leone di Trieste, con circa 500 miliardi di asset, costituisce da sempre il vero trofeo della finanza italiana al quale i francesi – Bolloré compreso, che di Generali è stato anche vicepresidente – dedicano da tempo attenzioni particolari.
L’interesse è emerso in alcuni contatti romani che hanno a che fare più con il mondo della politica che con quello degli affari. E dalla politica sono arrivate reazioni preoccupate. Le stesse che gli uomini più vicini a Matteo Renzi hanno avuto quando Tarak Ben Ammar ha provato a illustrare i progetti – da Telecom a Mediaset – del suo storico amico bretone in Italia. «Non ci sono barriere insormontabili – era ed è il ragionamento – ma serve reciprocità. Quando è che soggetti italiani potranno mirare a società francesi senza incontrare alcuno ostacolo?». E certo a instaurare relazioni simmetriche non bastano alcune sortite transalpine delle ultime settimane, come l’acquisto degli aeroporti della Costa Azzurra da parte di Atlantia o l’ingresso di Francesco Gaetano Caltagirone nel gruppo Suez, peraltro in cambio di una sostanziosa fetta di Acea.
Ma cosa vuole fare di preciso Bolloré? Avrebbe intenzione – si spiega – di aggiungere al 7,9% di Mediobanca che già possiede, un’altra quota sostanziosa. Tra i possibili venditori vedrebbe Unicredit, che oggi ha l’8,6% della banca d’affari e che come è noto ha in atto una campagna di dismissioni per rafforzare il proprio capitale; ma anche Mediolanum che di Mediobanca ha il 3,5% e che è controllata per il 25% dalla Fininvest dei Berlusconi; proprio quella Fininvest che in questi giorni sta litigando con la Vivendi a marchio Bolloré per Mediaset Premium e che vede con dispetto la «scalata occulta» da lui lanciata sulla casa madre Mediaset. Il francese infatti ha fatto sapere di volere subito un pacchetto consistente delle emittenti berlusconiane per dar vita ad un “polo latino” della tv. Sia Unicredit sia Mediolanum sono comunque legate a un patto di sindacato in Mediobanca che comprende anche il bretone, che ha la sua partecipazione limitata all’8%. Se anche questi soggetti vendessere Bollorè potrebbe avere al massimo un 8% della quota ceduta e per salire al 10% circa dovrebbe essere autorizzato dal patto; la sua speranza potrebbe però essere quella di rilevare quote supplementari che non interessino ad altri pattisti.
Se queste ipotesi si concretizzassero Bolloré diventerebbe comunque primo socio di Piazzetta Cuccia. E da lì non sarebbe difficile estendere la presa su Mediobanca e, a cascata, sulle Generali dove oggi la banca guidata da Alberto Nagel – che pure nei prossimi anni dovrà cedere un 3% della sua quota – mette a punto la lista per il cda votata dai grandi soci. L’esperienza Telecom, dove Vivendi ha preso una quota di maggioranza relativa, ha allargato il cda, ha inserito quattro uomini di fiducia e poi ha fatto cambiare l’ad, è istruttiva del modus operandi di Bolloré.
Ma quanto è possibile una vendita delle quote di Unicredit e Mediolanum nel Leone? Jean-Paul Mustier l’ad – anche lui francese, sebbene non in rapporti con Bolloré – che è appena arrivato in piazza Gae Aulenti, presenterà entro fine anno un piano industriale che punta sulla presenza internazionale del suo gruppo, ma allo stesso tempo è obbligato a vendere alcune partecipazioni per far cassa. In teoria, dunque, Mediobanca potrebbe agevolmente finire sul bancone dei saldi Unicredit, anche se per ora gli uomini di Mustier non commentano «voci e illazioni» e i prezzi di mercato non spingono certo a vendere: Unicredit ha in carico la sua quota Mediobanca a 725 milioni, mentre ai valori di Borsa attuali quella quota vale meno di 500 milioni. Il tema non è però del tutto peregrino: proprio venerdì un analista ha chiesto al numero uno di Mediobanca Alberto Nagel che cosa penserebbe di un’uscita di Unciredit dal capitale: «Mi auguro che rimanga come azionista di lungo termine». Difficile anche vedere come sia praticabile la strada di una cessione della quota Mediobanca da parte di Mediolanum, sebbene questa voce potrebbe giocare un ruolo nella trattativa globale con Mediaset. Che le intenzioni di Bolloré restino confinate nei palazzi della politica – magari frenate da un discreto altolà – o si spingano invece nel mondo della finanza, quel che è certo è che oggi la tensione sul confine degli affari italo- francese è alta. Insediato in marzo come ad delle Generali, Philippe Donnet – mais oui, anche lui un francese – ha avviato una classica revisione dei settori e dei Paesi di attività del gruppo, ponendosi la domanda se fosse opportuno abbandonare uno dei grandi mercati maturi del Leone per investire risorse su territori meno esplorati. Tanto è bastato per far preoccupare qualche grande socio in merito a possibili cessioni di attività in Francia e a un matrimonio di interesse con la francese Axa. Ansie ingiustificate, per ora, che però riecheggiano a Palazzo Chigi.