la Repubblica, 7 agosto 2016
L’M5s sta pensando a una exitstrategy per la Muraro
L’exit strategy è pronta. Paola Muraro che lascia il suo incarico per difendere una giunta in cui crede e che non vuole in alcun modo danneggiare. Ma è una strada che il Movimento non vuole ancora percorrere. Nonostante le ultime notizie uscite dalle carte di Mafia Capitale. Nonostante le telefonate con Salvatore Buzzi brucino più di qualsiasi altra cosa: più delle consulenze per oltre un milione di euro in dodici anni. Più del coinvolgimento nella gestione fallimentare di Ama.
Tra i 5 stelle i dubbi sull’assessora all’Ambiente di Roma crescono, tanto che – assicura il consigliere regionale Davide Barillari: «Finora non c’è niente di rilevante, ma non è che facciamo finta di niente. Stiamo approfondendo tutti gli aspetti, tutte le notizie che vengono fuori vengono vagliate».
Così, quando si è diffusa la notizia delle telefonate intercorse tra lei e Buzzi, l’assessora ha dovuto raccontare al direttorio il contenuto di ogni conversazione. «Ci ha detto della buona fede delle telefonate – dice chi era presente all’incontro – e quel che abbiamo visto dopo sui giornali corrisponde. È stata la stessa procura a dirci che non c’è niente di penalmente rilevante. Lei è una donna, non molla». La difesa a oltranza è quella per cui propende Virginia Raggi che ieri ha sentito a lungo la Muraro – ed è quella che si propone sui social e nelle chat interne, ma non convince tutti. Nel gruppo di lavoro della sindaca c’è chi si è spinto a proporre dimissioni pilotate, perché – fa notare più d’uno – «non è che ci abbia detto tutto subito. Ha aspettato che la notizia venisse fuori prima di dirci di Buzzi. Cos’altro nasconde?». Pesa la vicinanza a personaggi di Mafia Capitale che i 5 stelle avevano sempre imputato al Pd. Una foto del ministro Poletti con la cooperativa di Buzzi era finita perfino sul blog con una richiesta di dimissioni. E ora?
Chi l’ha difesa a oltranza come il deputato Stefano Vignaroli l’ultimo giorno alla Camera, davanti a un tramezzino alla buvette, spiegava che sì, la conosceva, ci aveva lavorato, «ma no che non posso metterci le mani sul fuoco, non posso certo sapere tutto». Non ci sta a prendersi responsabilità che non ha, Vignaroli. Ripete che lui, del minidirettorio che dovrebbe aiutare Virginia Raggi, non fa parte: «Avete visto un post su di me? No che non ci sono». E proprio sul minidirettorio si è consumata l’ultima battaglia interna. A Paola Taverna che dopo l’esclusione di Roberta Lombardi è rimasta l’unica parlamentare a farne parte – non è neanche stato detto della cena a casa di Di Battista tra i cinque e la sindaca. Tagliata fuori senza una parola. Come se si fosse passati a un livello più alto. Come se la palla fosse passata direttamente a Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista, Roberto Fico, Carla Ruocco.
A fare le spese delle lotte interne potrebbe essere, tra gli altri, chi ha lavorato per la vittoria di Virginia Raggi come il portavoce Augusto Rubei. Entrato in collisione con la sindaca e con il vice Daniele Frongia, Rubei si appresta a un ruolo di secondo piano nell’ufficio comunicazione del Campidoglio. E al suo posto dovrebbe arrivare una persona scelta direttamente da Di Maio e Di Battista. Il clima è avvelenato: a Rubei è stato imputato perfino il copia- incolla delle linee programmatiche lette dalla Raggi, che erano invece state redatte dai singoli assessori a seconda delle competenze. «Qualcuno cerca di farmi fuori, mi faccio da parte», ha detto lui in una riunione infuocata. Accusando il sindaco di fare gaffes imperdonabili con post scritti in piena notte su Facebook.