Corriere della Sera, 7 agosto 2016
In un locale venti candeline uccidono 13 adolescenti. Un’altra tragedia a Rouen
«Chissà se sapremo mai la verità» dubita una giovane mamma che ha spinto il passeggino, sotto il sole a picco, fino a qui, per sostare una decina di minuti sul luogo della tragedia, per vedere il bar «Cuba Libre» dove a mezzanotte sono morti, asfissiati e bruciati, «les ados», gli adolescenti. Tredici amici fra i 17 e i 25 anni. «Dicono che ha preso fuoco la moquette, ma non c’è moquette là sotto. Il pavimento è di piastrelle» rilancia, disinvolto, un ragazzo che si atteggia a ben informato. Dunque è un frequentatore del locale? «No – arrossisce —, ma ho visto una foto del Cuba Libre su Facebook».
Rouen non ce la fa proprio a credere che sia stata soltanto una disgrazia. Non riesce ad ammettere che sia stata una terribile fatalità a intrappolare nella taverna sotterranea di un pub una comitiva di ragazzi che festeggiavano i vent’anni di Ophélie, «guardiana della pace», il primo gradino della carriera in polizia. A due settimane dal feroce attentato nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, appena fuori città, dove padre Jacques Hamel è stato sgozzato da due balordi diciannovenni, plagiati in galera da qualche predicatore dell’Isis, il capoluogo normanno è di nuovo in ginocchio, nei banchi della sua cattedrale. Sono passati meno di cinque giorni dai funerali del sacerdote, e già l’arcivescovo Dominique Lebrun deve celebrare una nuova messa in suffragio, questa volta, di tredici «ados», uccisi da un capitombolo. L’incendio sarebbe infatti divampato in pochi secondi, quando la torta di compleanno è sfuggita dalle mani di chi la stava servendo a Ophélie ed è scivolato sui gradini della scala a chiocciola.
Vero, non è facile immaginare come quelle fiammelle possano essersi trasformate in pochi secondi, tre secondo un testimone, in un gigantesco falò che ha divorato il locale e buona parte dei suoi ospiti. Sembra che il soffitto della cantina fosse foderato di pannelli spugnosi insonorizzanti, però non ignifughi, e di polistirolo la cui combustione avrebbe sprigionato i gas tossici. La stanza deve essere piombata nel buio e il fumo ha impedito ai ragazzi di raggiungere rapidamente l’uscita. Tredici di loro erano già morti soffocati all’arrivo dei pompieri, mentre altri sei erano risaliti, feriti: tra loro Karima, 21 anni, trasferita in condizioni gravissime a un centro grandi ustionati di Parigi. Per il suo fidanzato, invece, non c’era più nulla da fare. Kelly, 17 anni, una dei superstiti, è tornata davanti al bar appena dimessa dall’ospedale: «Erano i miei amici. Io ero uscita a fumare una sigaretta, quando ho visto gente correre accanto a me, così mi sono salvata».
Si conoscono tutti nel quartiere, sulla riva sinistra della Senna: niente a che vedere con la Rive Gauche parigina. A Rouen è un quartiere modesto, multietnico e proletario che inizia in fondo al ponte Giovanna d’Arco: il sabato mattina, al mercato alimentare della place des Emmurées arrivano anche gli abitanti della riva destra per risparmiare sulla spesa. Poco distante, al 44 dell’avenue Jacques Cartier c’è quel che resta del «Cuba Libre», le sedie rovesciate, i vetri in frantumi, l’insegna annerita, accanto ad «Art Mariage», negozio specializzato nell’organizzazione di matrimoni. Ai tavolini del caffè più vicino, «Aux deux frères», dai due fratelli, siedono solo uomini; al bancone de «Le Clemenceau», un po’ più in là, si discute della triste sorte che attende il gestore del «Cuba libre»: «Come minimo un processo per omicidio plurimo. Stavolta è proprio rovinato!».
Il sindaco, Yvon Robert, è arrivato, prima ancora delle decine di mazzi di fiori allineati lungo le transenne: «Era un locale piccolo, in cui potevano stare poche persone alla volta – informa —, forse anche per questo era poco controllato. Si pensava che fosse rapidamente evacuabile». Si indaga e si prega: «Ci sarà molta gente quest’anno, il 15 agosto, al tradizionale pellegrinaggio da Rouen a Notre-Dame de Bonsecours – prevede Sophie Bogatay, giornalista del quotidiano locale Paris Normandie —. Qui adesso si sente come non mai il bisogno di aggrapparsi all’immagine della Madonna».