Corriere della Sera, 7 agosto 2016
L’avevano stuprata in otto, il procuratore li ha fatti rilasciare e lei si è suicidata. La triste storia di Khadija Al-Suweydi, successa in Marocco
Aveva diciassette anni, viveva in una città nel cuore del Marocco, a 70 chilometri da Marrakech. Si chiamava Khadija Al-Suweydi. Khadija, come la prima moglie del profeta Maometto. Lo scorso inverno è stata rapita da otto giovani che l’hanno stuprata, uno dopo l’altro, a turno. Nel frattempo si divertivano a scattare foto con i telefonini.
Lei ha avuto il coraggio di dirlo alla famiglia, che ha sporto denuncia: i responsabili – sette dei quali descritti come noti trafficanti di droga, l’ottavo catturato tre mesi dopo, per aver molestato un ragazzino – sono stati interrogati. Poi il procuratore li ha rilasciati «provvisoriamente». Appena liberati, hanno minacciato Khadija: o ritirava la denuncia o avrebbero pubblicato le foto della violenza, in un Paese in cui perdere la verginità prima del matrimonio è ancora considerata una macchia indelebile per l’onore della donna e della sua famiglia. Così venerdì scorso, Khadija ha versato sui propri vestiti un liquido infiammabile e poi si è data fuoco. Inutili i soccorsi: il giorno dopo è morta in ospedale. L’autopsia ha rivelato che era incinta.
Ora il Marocco piange la morte di un’altra ragazza violentata tre volte: dagli uomini che l’hanno stuprata, dalla tradizione e dalla legge. Come Amina Filali, 16 anni, che nel 2012 ci mise due mesi a trovare la forza di confessarlo ai genitori, e poi si trovò costretta a sposare il suo aguzzino. Lui da marito la picchiava, e la madre le diceva di avere pazienza. Amina non ci riuscì: cinque mesi dopo, si tolse la vita inghiottendo del veleno per topi.
Allora, la colpa della sua morte venne attribuita all’articolo 475 del codice penale marocchino, che permetteva agli stupratori di sfuggire ai 5-10 anni di carcere previsti (10-20 se la ragazza è minorenne) a patto che sposassero la vittima. Per la famiglia era un modo per salvare l’onore e trovare un marito ad una figlia che nessuno ormai vorrebbe più. Quella legge, alla fine, è stata cancellata nel 2014, dopo anni di proteste di piazza e su Facebook – e in seguito ad un altro suicidio di una vittima di stupro, dopo Amina.
Nel caos mediorientale e nordafricano, il Marocco pare un’isola felice, con il re Mohammed VI e la consorte Lalla Salma che ruba i riflettori a Rania di Giordania, con un turismo che resiste a differenza dei Paesi vicini, e con una sicurezza sufficiente ad ospitare l’ultima conferenza di pace sulla Libia. Ma il dipartimento di Stato Usa e organizzazioni come «Human Rights Watch» di recente hanno messo in luce le contraddizioni esistenti. Nel 2011 il Marocco ha adottato una nuova costituzione che contiene garanzie sui diritti umani non sempre rispettate, dalle torture degli oppositori alla punizione di ogni critica al sovrano e all’Islam, fino alla scarsa protezione effettiva per le violenze sessuali. Nel codice penale resta un articolo, il 490, che criminalizza i rapporti consensuali tra persone non sposate e, nel caso di rilascio dello stupratore, ciò significa che le vittime rischiano di essere incriminate. Secondo Ong locali come l’Associazione marocchina per i diritti umani, guidata da Omar Arbib, l’80% delle violenze sessuali riguarda minorenni dai 5 ai 14 anni, e spesso gli aggressori sono membri della famiglia. Nel settembre 2014, la Commissione Onu per i diritti del fanciullo ha espresso preoccupazione per la mancanza di norme che puniscano ogni forma di violenza domestica, incluso lo stupro da parte del consorte, perché la legge mira più a proteggere la morale pubblica che l’individuo.
A volte, poi, il problema non è la legge ma la sua applicazione: nonostante l’età minima per il matrimonio sia stata portata da 15 a 18 anni, ci sono giudici che sistematicamente lo consentono anche prima. Nel caso di Amina, fu il procuratore a suggerire le nozze con lo stupratore, se è vero ciò che raccontò il padre. In molti Paesi della regione, comunque, la tradizione prevede che chi violenta una donna possa sfuggire alla pena sposandola.
Alcuni degli stupratori di Khadija sono stati di nuovo arrestati. In piazza la piccola ma agguerrita società civile grida: «Chi violenta non deve sfuggire alla Giustizia». Ma non è chiaro cosa potrà cambiare.