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 2016  agosto 06 Sabato calendario

«Starò con l’Isis finché avrò vita». Arrestato a Napoli un jihadista che gestiva il traffico di migranti

C’è un tunisino di 41 anni che la Procura di Napoli e i carabinieri del Ros ritengono radicalizzato al punto da essere pronto «in linea concettuale a colpire in Italia». Si chiama Mohamed Khemiri, è indagato per associazione con finalità di terrorismo e apologia del terrorismo, e da ieri mattina è in carcere. Ma non per terrorismo. È accusato solo di associazione per delinquere finalizzata al falso e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, perché insieme ad altri sette nordafricani (pure raggiunti da provvedimenti cautelari) avrebbe fornito a immigrati irregolari falsi documenti e contratti di lavoro fittizi presso aziende tessili del Casertano, in modo da accelerare le procedure per il rilascio dei permessi di soggiorno.
Un personaggio, quindi, in cui si intrecciano le figure dell’estremista islamico e del trafficante di migranti, a confermare lo scenario illustrato dal Guardasigilli Orlando nell’intervista rilasciata due giorni fa al Corriere. Ma colpisce che a portare Khemiri in carcere sia stata un’accusa decisamente lieve rispetto a quanto nei suoi confronti ipotizzano il procuratore aggiunto di Napoli Fausto Zuccarelli e il pm titolare dell’inchiesta Luigi Alberto Cannavale. La spiegazione è nella decisione del giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Napoli Alessandra Ferrigno di respingere per due volte la richiesta d’arresto avanzata dalla Procura, che alla fine ha inviato ai giudici di Santa Maria Capua Vetere (competenti per il Casertano) gli atti relativi ai reati minori contestati al tunisino, emersi già da un’indagine del 2014 della Procura di Bari.
A dare forza al convincimento di Procura di Napoli e carabinieri che Khemiri fosse pronto ad agire in nome del Jihad, ci sono i messaggi sulla pagina Facebook che gli inquirenti gli attribuiscono, anche se intestata a Kamal Ouddini. È sul social che il 26 gennaio 2015, alle 23.48, compare un post estremamente esplicito: «Sono isissiano finché avrò vita. E se morirò vi esorto a farne parte». All’indomani dell’assalto parigino alla redazione di Charlie Hebdo e dell’attentato nel supermercato Kosher (gennaio 2015), Ouddini-Khemiri accusava i Servizi israeliani («Un’operazione del Mossad»), ma aggiungeva: «Per quanto riguarda quel giornalista che ha fatto quelle vignette che ledono l’Islam e i musulmani senza alcuna pietà per lui ha avuto ciò che si merita». Poi il post riferito all’accoltellamento di nove pendolari su un autobus a Tel Aviv: «Allah è grande! La migliore mattinata della Terra Santa». Risale invece al settembre 2014, a riprova che la radicalizzazione non è dell’ultima ora, il fotomontaggio pubblicato sempre su Facebook: Barack Obama con la tuta arancione che viene tenuto per il collo dal tagliatore di teste Jihadi John. Agghiacciante il post: «Lo sceicco Obama dice: i giovani nel mondo arabo e islamico non devono seguire l’onda dell’integralismo in quanto non rappresentano l’Islam. E io dico: i giovani del mondo arabo e islamico devono ucciderti e gettare a terra i tuoi resti per i cani».
Il gip che ha respinto l’arresto (in Campania di terrorismo si occupano i magistrati di Napoli) ammette che il tunisino è potenzialmente pericoloso. Nell’ordinanza di rigetto si legge che il processo di radicalizzazione «può dirsi avvenuto in Khemiri, passato a posizioni via via più estremiste ed esaltate, inneggianti non solo alla grandezza della religione musulmana, ma anche alla lotta jihadista». Tanto però non basta per autorizzarne l’arresto: «Tutte quelle forme di estremizzazione e radicalizzazione... non ne fanno un indagato attinto da gravi indizi di reità per il reato di associazione terroristica di matrice islamica».