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 2016  agosto 07 Domenica calendario

A Charleroi un altro attentato in nome di Allah. Due poliziotte ferite

Poco più di quattro mesi dopo gli attentati che insanguinarono Bruxelles, il Belgio rivive l’incubo del terrorismo. Nel pomeriggio di ieri, intorno alle 16, un uomo ha attaccato a colpi di machete due poliziotte a Charleroi, città di poco più di 200 mila abitanti a sud di Bruxelles. Secondo quanto indicato dalla polizia, l’uomo – giunto da solo alla guardiola – ha estratto l’arma da uno zaino, e ha colpito urlando «Allahu Akbar». L’attentatore è stato colpito con almeno nove colpi di pistola al torace e a una gamba da una collega delle due agenti ferite. Portato all’ospedale Marie Curie, è morto in sala operatoria. Le due poliziotte – una delle quali ferita in modo più profondo – sono state sottoposte a un intervento chirurgico, ma non sono in pericolo di vita.
Il premier belga Charles Michel, dopo aver condannato l’attacco, ha detto al canale televisivo Rtl che «non sappiamo ancora se si tratti dell’azione di un lupo solitario», ma «le prime informazioni indicano chiaramente la pista terroristica». Sui canali Telegram legati a Isis, mentre la notizia si è diffusa rapidamente, non c’erano, fino a ieri sera, rivendicazioni. Michel ha cancellato le sue vacanze, e oggi sarà a Charleroi. Insieme al ministro dell’Interno Jan Jambon, che ha espresso la sua solidarietà alle due agenti ferite e alle loro famiglie, terrà questa mattina una riunione d’emergenza con i servizi di sicurezza, che avevano comunque mantenuto l’allerta al livello 3 su 4 – con l’indicazione che un altro attentato, dopo quello che aveva ucciso 32 persone il 22 marzo nella capitale belga, era «probabile». In discussione ci saranno anche le misure di protezione per i poliziotti: a rendere meno grave il bilancio di ieri, ha spiegato il sindaco della città, Paul Magnette, è stata la costruzione di una «torre» di vetro e cemento, con annesso checkpoint, decisa dopo che un attacco a una stazione di polizia era stato sventato nel gennaio 2014 a Verviers.
Se l’attentato fosse opera di un «lupo solitario», si tratterebbe dell’ennesimo episodio nelle ultime settimane: dalla coppia di poliziotti francesi uccisi da un terrorista affiliato a Isis a Magnanville (Parigi), il 13 giugno, all’assalto a colpi d’ascia su un treno a Würzburg, all’attacco suicida di Ansbach, sempre in Germania.
Charleroi era la base logistica di alcuni degli attentatori jihadisti di Parigi – nel novembre scorso – e Bruxelles.

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Niente paura. Non ne avevano, Corinne e Hakima, ogni volta che indossavano la divisa e – come ieri – uscivano dal loro commissariato, su Boulevard Mayence, e andavano in quella che tutti gli agenti, qui, chiamano «la torre». Non ne avevano perché, in fondo, per loro Charleroi era «una città tranquilla».
E perché – dopo essere state nella polizia per 15 anni l’una, per 18 l’altra – sapevano che sarebbero state in grado di affrontare tutto. E ne sono convinte anche ora, che sono sopravvissute all’attacco a colpi di machete di un terrorista. Fuori dall’ospedale «Notre Dame» dove sono state immediatamente portate per un intervento chirurgico che, spiega un’infermiera, avrà «conseguenze estetiche: pesanti, anche, per una delle due, ma per fortuna – anche se parlare di fortuna sembra assurdo – solo estetiche», ci sono molti agenti della polizia locale. Che non sia solo questione di dovere lo raccontano gli occhi lucidi, le sigarette fumate a ripetizione, le continue telefonate a chi, qui davanti, non ci può essere. «Siamo una grande famiglia», dice il portavoce David Quinaux, la voce spezzata dall’emozione. È lui a raccontare che Corinne e Hakima – entrambe sulla quarantina, anche se tutte e due, a dire dell’infermiera che le ha accolte all’ospedale, «sembrano molto più giovani, non daresti loro trent’anni» – erano entrate in servizio a cavallo del 2000.
Prima all’intervention service, il pronto intervento; solo poi – dopo aver affrontato tutti gli imprevisti che si nascondono dietro a ogni chiamata d’emergenza – alla polizia investigativa. Un lavoro che spesso le portava a girare in borghese. Non ieri, non quando svolgevano l’attività di sicurezza al checkpoint della «torre» costruito di recente, per mettere al sicuro gli agenti dopo l’attentato sventato nel 2014 a Vervieres.
Anche ieri avevano indossato l’uniforme, e si erano messe – con un’altra collega: è al suo sangue freddo che devono la vita – a difesa della «famiglia». Tutto tranquillo, anche nel pomeriggio di ieri: fino a quello che i colleghi, tutti, non riescono a definire altrimenti che come «uno shock. Enorme».
Torneranno al lavoro? Quinaux non si sbilancia, ma glielo si legge addosso che è convinto che sì, certo, torneranno. «Questo è il nostro lavoro. Domani dovremo fare lo stesso, e dopodomani di nuovo». Niente paura, come dicevano – e come continueranno a ripetere, ne sono convinti i colleghi – Corinne e Hakima.