Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  agosto 08 Lunedì calendario

Sull’impossibilità di una guerra in Libia

Con l’annuncio dell’inizio dei bombardamenti americani, la scorsa settimana, è iniziata una nuova fase della guerra in Libia, il conflitto che più da vicino tocca il nostro paese. In precedenza, gli Stati Uniti avevano compiuto soltanto un paio di attacchi mirati contro specifici leader dell’Isis libica e di altri gruppi fondamentalisti che si nascondono nel paese. Da lunedì scorso, invece, l’aviazione americana ha iniziato una campagna martellante con obiettivi tattici: aiutare l’avanzata delle milizie che stanno riconquistando Sirte, l’unica città che l’Isis è riuscita a conquistare nel paese. Il governo italiano segue da vicino la vicenda e mercoledì ha ufficialmente messo a disposizione dell’aviazione americane le basi aree sul territorio nazionale. Riconquistare Sirte è, secondo gran parte degli esperti, un passo necessario per riunificare il paese che, a sua volta, consentirà di rimettere ordine al flusso migratorio e di ripristinare l’industria petrolifera locale – due questioni che stanno molto a cuore al governo italiano.
GLI INTERESSI FRANCESI
Ma come spesso accade, non tutti gli attori internazionali hanno gli stessi obiettivi. Come accadde un secolo fa, all’epoca dei grandi imperi coloniali, gli interessi di Francia e Italia sono differenti e, a volte, divergenti. Dietro la facciata di unità mostrata dalla comunità internazionale, sottili rivalità corrono lungo le Alpi. «Più che gli interessi materiali, a dividerci, sono le priorità politiche», spiega Mattia Toaldo, ricercato presso l’Ecfr e uno dei principali esperti di Libia: «Il presidente francese Hollande ha una necessità di politica interna: mostrare che sta facendo qualcosa contro il terrorismo». Il governo francese, quindi, ha deciso fin dalla fine del 2015 di schierare alcune decine di forze speciali al fianco del generale Khalifa Haftar, il signore della guerra che domina la Libia orientale e che da mesi è impegnato in una continua guerriglia contro i gruppi islamisti che occupano alcuni quartieri delle città di Derna e Bengasi. Haftar è uno dei personaggi più ambigui della recente storia libica. Nel 1986, quando era un colonnello nell’esercito di Gheddafi, condusse una disastrosa campagna in Ciad e fu catturato insieme ad altri 700 militari. Nel 1996, tentò un’insurrezione contro il dittatore, ma fu costretto a fuggire negli Stati Uniti. Nel 2011 ritornò in Libia, dove ha ricoperto alcune posizioni nel nuovo esercito. Oggi è l’uomo più importante della Cirenaica, la parte orientale della Libia. Sostiene di essere alla guida del vero esercito libico, ma al suo comando ha una collezione piuttosto eterogenea di milizie.
IL GOVERNO SERRAJ
Secondo gran parte degli esperti, Haftar ha grandi ambizioni e vede sé stesso come l’equivalente libico di Al Sisi, l’ex militare salito al potere in Egitto con un colpo di stato – l’Egitto, tra l’altro, è uno degli alleati principali di Haftar, insieme ad Emirati Arabi Uniti ed Arabia Saudita. Per queste ragioni, da un anno oramai, Haftar si oppone alla creazione di un governo di unità nazionale, chiedendo come condizione di essere nominato capo del nuovo esercito libico. Nonostante l’opposizione di Haftar, lo scorso dicembre, un gruppo di milizie, parlamentari, ex ministri e delegati di città, ha proclamato la nascita del nuovo governo di unità nazionale. Con la sorpresa di gran parte degli osservatori, il nuovo governo guidato da Fayez al Serraj, è riuscito a insediarsi a Tripoli e a normalizzare la situazione militare in tutto l’ovest del paese, la Tripolitania. Con l’eccezione di Sirte, dove i miliziani della città di Misurata stanno combattendo contro lo stato islamico, la regione occidentale è tornata ad essere piuttosto pacifica, anche se in una disastrosa condizione economica e con altissimi livelli di criminalità. La Francia ha appoggiato con forza la formazione del governo di unità nazionale, sfruttando anche il suo ruolo di membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Ma – paradossalmente – con il suo appoggio ad Haftar ha rischiato di far saltare tutto l’accordo: da gennaio, quando la presenza francese in Libia orientale si è fatta più forte, Haftar ha irrigidito la sua posizione e ha impedito ai parlamentari e agli altri maggiorenti sotto il suo controllo di schierarsi a favore del governo di unità nazionale.
LA POSIZIONE ITALIANA
Serraj e il resto del governo non vedono favorevolmente queste manovre. Lo scorso 21 luglio, quando tre militari francesi sono morti vicino a Bengasi in un incidente a bordo di un elicottero, il governo francese ha dovuto ammettere la presenza di militari nel paese e Serraj ha immediatamente criticato l’ingerenza francese e l’appoggio fornito al rivale del suo governo. Secondo diversi analisti, la priorità per Hollande, al momento, è quella di riconquistare consenso in Francia mostrandosi inflessibile contro il terrorismo, al punto da lanciare campagne controproducenti per gli interessi francesi di lungo periodo. La sua popolarità è a un minimo storico e l’anno prossimo dovrà affrontare una difficile campagna elettorale per il secondo mandato. Dal canto suo, l’Italia, non ha come obbiettivi primari l’antiterrorismo. L’opinione pubblica italiana, a cui fino ad ora sono stati risparmiati gli attentati di matrice islamista, non ha espresso grande preoccupazione per la situazione in Libia – e, in ogni caso, l’esercito italiano non ha avuto recenti esperienze di missioni di questo tipo in territorio ostile, come le ha avuto invece quello francese in Africa Occidentale, e potrebbe probabilmente fornire un contributo non troppo significativo alla lotta al terrorismo. Gli italiani sembrano molto più interessati alla questione dell’immigrazione. Più di 220 mila persone sono arrivate in Italia dalla Libia tra il 2014 e il 2015 e ad oggi e il flusso non sembra rallentare. Solo quest’anno, altre 98 mila persone sono arrivate sulle coste italiane. Molti ritengono che l’unico modo di controllare questo flusso è che in Libia torni a insediarsi un governo stabile con cui cooperare.
LIBICI ALLO STREMO
Anche per questo motivo la diplomazia italiana ha appoggiato fin dell’inizio la formazione del governo di unità nazionale. È un obiettivo, però, che sembra difficile da raggiungere nel breve. I raid aerei americani, probabilmente, accelereranno la sconfitta dell’Isis rendendo così più semplice al governo Serraj riunificare il paese e scalzare Haftar – la sconfitta dello Stato Islamico, però, potrebbe significare una recrudescenza degli attacchi terroristici, come abbia già visto succedere dopo le sconfitte dell’Isis in Siria e Iraq. In ogni caso, la fine dell’immigrazione incontrollata dipenderà dalla creazione di un governo forte, in grado di controllare il territorio. Per quanto il primo ministro Serraj sia apparentemente riuscito a mettere sotto controllo le milizie della Libia occidentale, la situazione in Tripolitania rimane molto difficile. L’inflazione è alle stelle, gli ospedali chiudono per mancanza di medicine e il crimine è fuori controllo. I libici sono già scesi in piazza a protestare e se il governo Serraj dovesse venire rovesciato da una protesta di piazza, il paese rischia di sprofondare nuovamente in un ciclo di violenza. Anche se l’Isis dovesse venire sconfitta, il rischio è che governare un paese si dimostri molto più difficile che battere il terrorismo.