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 2016  agosto 08 Lunedì calendario

In morte di Ivo Pitanguy, Pelè del bisturi

Omero Ciai per la Repubblica
Rio de Janeiro Il suo ultimo sforzo è stato quello di fare il tedoforo, a 93 anni, in carrozzella, venerdì pomeriggio a Botafogo, non lontano dalla sede della sua famosissima clinica di chirurgia estetica, portando la fiaccola olimpica. Lui, Ivo Pitanguy, il guru della bellezza, non poteva non esserci nella prima Olimpiade assegnata al Sudamerica e alla sua città. Sabato sera se n’è andato, portato via da in infarto. A partire dalla metà degli Anni ’60 del secolo scorso, Pitanguy era diventato famosissimo nel mondo della chirurgia plastica. Qui, si diceva che aveva operato “mezza Hollywood”, cominciando da Elizabeth Taylor, che alloggiò nello smagliante e lussuosissimo all’epoca Copacabana Palace, fino a Gina Lollobrigida, e a Jackie Kennedy. Passando per Farah Diba, la sfortunata moglie dello Scià dell’Iran, per la duchessa di Windsor e perfino per Madonna. Ma anche Brigitte Bardot e decine di altre attrici e attori. Anche in anni recenti quando qualche star internazionale atterrava all’aeroporto “Tom Jobin” di Rio de Janeiro, la prima speculazione in città era “Va da Pitanguy”. Venticinquemila interventi di lifting in tutta la sua carriera, dei quali, trattandosi spesso di jet-set, non ha mai rivelato nomi e circostanze. Ma in realtà Pitanguy era un filosofo della bellezza e grazie al suo lavoro era, da anni, uno dei personaggi più famosi del Brasile, un Pelè del bisturi.
Medico delle star ma anche noto benefattore: per un giorno alla settimana la sua clinica, con lui e i suoi assistenti, era a disposizione dei più poveri, di chi non aveva abbastanza denaro per pagarsi una operazione. Per questo fu ricevuto tre volte in Vaticano e Papa Giovanni Paolo II lo premiò perché aveva operato dei bambini ustionati selezionati dalla Croce Rossa. Quando l’Accademia brasiliana delle Lettere – fu anche scrittore – lo accolse tra i suoi membri negli anni Novanta, Pitanguy, utilizzando una frase attribuita a Pablo Picasso disegnò la sua concezione visionaria della chirurgia estetica. Quella volta disse: «Picasso diceva che ci sono due tipi di artisti. C’è quello che fa del Sole una semplice macchia gialla, e quello che da una semplice macchia gialla fa un Sole». Lui si considera un artista del secondo tipo.
Pitanguy nacque a Bela Horizonte, nello Stato brasiliano di Minas Gerais, il 5 luglio del 1923, ma venne registrato all’anagrafe soltanto tre anni dopo (e per questo in alcune biografie risultava novantenne). Sua madre era poetessa, suo padre chirurgo, ma anche in quel lontanissimo Brasile, un riconosciuto umanista. La sua carriera era cominciata in America dove aveva lavorato per ricostruire arti mutilati dei soldati della Seconda Guerra mondiale. Ma la fama del professor Ivo nel suo Paese inizia con un episodio, famoso e tragico, come l’incendio di Niteroi nel 1961. Allora sull’isoletta nella baia di Rio bruciarono centinaia di case, provocando 500 morti e 2500 feriti da ustioni, soprattutto bambini. Era dicembre e Pitanguy dedicò i mesi successivi a operare tutti quelli che poté. Una discepola, Barbara Machado, sua assistente per oltre 25 anni, sabato tra le lacrime ha detto che il nome di Pitanguy era diventato «quasi sinonimo del miracolo». «Lui – ha aggiunto – ci ha insegnato che non bisogna mai deludere le speranze di un paziente, abbiamo l’obbligo di trovare soluzioni».
Maestro indiscusso per decenni, Pitanguy ha costruito a Rio una famosissima clinica dove si sono formati centinaia di chirurghi, di ogni nazionalità. Inevitabilmente, trattandosi di Brasile, la sua operazione più famosa era quella alle natiche femminili. Il sedere tropicale, meglio noto come “bum bum”. Ma grazie alla sua intelligenza è sempre stato molto di più che un medico riuscendo a trasformare la vita di migliaia di pazienti, sia famosi che anonimi. Sui social, in moltissimi vogliono lasciare un ricordo. Tra i primi la supermodel Naomi Campbell che ha pubblicato una sua foto con Pitanguy di qualche anno fa. Ieri è stato cremato. Lascia la moglie Marilu, con cui ha trascorso tutta la vita: si sposarono nel 1955, 4 figli e 5 nipoti.

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Matteo Persivale per il Corriere della Sera
Il chirurgo plastico più famoso del mondo rispondeva con infinita cortesia e voce melodiosa «no» — in cinque lingue diverse, oltre al portoghese — a tutti i pazienti che gli chiedevano di farli tornare giovani. Il brasiliano Ivo Pitanguy, morto ieri a Rio de Janeiro a 93 anni, 24 ore dopo aver portato — seduto sulla sedia a rotelle — la fiamma olimpica verso lo stadio, spiegava che la macchina del tempo non era ancora stata inventata, che voler tornare giovani era una condizione psicologica che lui, con il bisturi, non poteva curare.
Pitanguy poteva rendere uomini e donne «più simili all’immagine che hanno di sé», correggendo i difetti che vedevano riflessi nello specchio, per farli diventare a pieno titolo sé stessi, non per trasformarli: «Sono uno psicologo con il bisturi».
Dopo la laurea a Rio e la specializzazione negli Stati Uniti era tornato a casa per diventare famoso, a quarant’anni non ancora compiuti, grazie al lavoro per ricostruire i volti delle vittime di un terribile incendio.
Pitanguy fu sì un milionario festaiolo e poliglotta, con chalet a Gstaad e appartamento parigino nel sedicesimo arrondissement, fu sì il confidente — in abito su misura sotto il camice — di un esercito di divi e dive del cinema, politici, industriali, sceicchi, perfino dello sciamano d’una tribù amazzonica che si rivolse a lui perché «sto diventando vecchio e sembro meno autorevole».
Fu proprietario di un’isola tutta sua, Ilha dos Porcos Grande a Angra dos Reis dove accoglieva gli amici famosi. Ma fu anche il teorizzatore della chirurgia estetica non come disciplina per i ricchi e famosi ma per tutti coloro che non si sentivano a proprio agio con sé stessi.
Ai ricchi, negli anni 70, chiedeva 10 mila dollari per un ritocco (oggi, calcolando l’inflazione, sarebbero 44 mila) ma operava gratis i bambini con malformazioni al palato. E all’ospedale pubblico Santa Casa Misericórdia di Rio, la Fondazione Pitanguy garantisce da decenni interventi gratis per i pazienti poveri («È l’iniziativa più importante della mia carriera, quella di cui sono più orgoglioso»). La seconda soddisfazione più grande? L’omaggio, nel 1999, di una scuola di samba che lo volle protagonista, al Carnevale, di un’allegoria nella quale lui rappresentava l’ideale della Bellezza: «Una gioia speciale, l’omaggio della gente semplice».
La lista dei pazienti famosi? Spiegava di non divulgare mai nomi «perché chi è stato da me lo nega, e quelli che dicono di esserci stati io non li ho mai visti in vita mia». Però nel corso dei decenni si fecero i nomi — da lui mai smentiti — di Jacqueline Kennedy Onassis, Wallis Simpson, François Mitterrand, re Hussein di Giordania, Joan Crawford, e Brigitte Bardot.
«La storia della chirurgia plastica — spiegò alla rivista americana di moda «W» otto anni fa — ha origine dal trauma: dalla distruzione nasce la ricostruzione». Ricordava ai colleghi più giovani che la chirurgia plastica è nata durante la Prima guerra mondiale per aiutare tutti quei soldati rimasti sfigurati. Quello che non tollerava è che qualcuno si riferisse alla chirurgia estetica come a una branca «superficiale» della medicina: «Essere felici con se stessi non è per nulla superficiale. Le mie operazioni non sono destinate soltanto al corpo dei miei pazienti, ma anche alla loro anima».
Perché se la rivoluzione scientifica di Pitanguy è stata quella di importare nella chirurgia estetica le tecniche ricostruttive, una rivoluzione ancora più importante l’ha fatta nella creazione della moderna figura del chirurgo estetico. Il comandamento più importante: «Non strafare». Perché se Pitanguy ebbe un segreto, fu quello di «non strafare, perché significherebbe creare una finzione, una maschera senza espressione: l’espressione è vita». Chiamava il volto di una persona eccessivamente ritoccata dal chirurgo «la maschera della morte».

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Carla Massi per Il Messaggero
Protagonista sul palcoscenico del mondo fino all’addio. Ivo Hèlcio Jardim de Campos Pitanguy, il pioniere della chirurgia plastica moderna, è scomparso a 93 anni. Solo due giorni prima, il suo corpo rigido in carrozzella, aveva fatto da tedoforo in un tratto del cammino della fiamma Olimpica di Rio 2016. Un sorriso accennato mentre teneva la fiaccola di bianco vestito. Ieri, l’ha stroncato un infarto.
IL JET SET
Con lui, la trasformazione della chirurgia plastica. Con lui le operazioni gratuite sui bambini poveri malformati di ogni parte del pianeta (a cominciare dal suo Brasile), l’uso scultoreo del bisturi per rifare visi, seni, glutei. Con lui la nuova scuola dell’armonia totale del corpo, l’abbinamento dell’arte della bellezza rifatta con i suoni e le luci del jet set. Quell’empireo dei grandi del cinema, della moda e della finanza che, in segreto negli anni Settanta, affollavano la sua clinica di Rio al 65 di Rua Dona Mariana. 
Giardino carico di banani e piante esotiche, camere operatorie una accanto all’altra, ambulatori come salotti, possibilità, per ogni cliente, di non essere scoperto. Maestro di una, forse due, generazioni di chirurghi plastici in tutto il mondo Pitanguy ha insegnato ad usare i ferri ma, soprattutto, a guardare il paziente nel suo insieme. Ha operato fino ad un paio di anni fa. E’ sempre stato uno sportivo. Grande sciatore, nuotatore, tennista, cintura nera di karatè.
LA GUERRA
Ottocento pubblicazioni, numerosi libri, oltre 25mila lifting, 20mila interventi per correggere il seno, dalla fine degli anni Cinquanta si è diviso tra l’invalidità degli ultimi che curava gratuitamente (l’inizio della carriera negli Stati Uniti ricostruiva gli arti dei mutilati della seconda guerra mondiale) e la ricerca della bellezza assoluta per i grandi ricchi. Tra i bambini delle favelas e la casa di Jackie e Aristotele Onassis o Elisabeth Taylor. Le linee perfette di Soraya si dovevano a lui. Era amico di Brigitte Bardot, re Hussein di Giordania e, più recentemente, abbracciava in pubblico Noemi Campbell e Madonna. Parlava molto Pitanguy. Raccontava il suo lavoro e girava il mondo. Per tenere lezioni, per fare marketing di un marchio che, pochi anni fa, è diventato anche una linea di cosmetici.
Durante i suoi incontri alternava la spiegazione tecnica dell’intervento alla lettura di quell’intervento. Stato d’animo del paziente compreso. «Un traumatismo - sono sue parole - corrisponde alla frantumazione dell’ego, e una correzione estetica corrisponde ad un intervento per ridonare al paziente l’autostima perduta». Un personaggio dentro e fuori la camera operatoria.
Sapeva sorridere e far sorridere. Era l’eroe del bel mondo, si faceva fotografare accanto alle sue amiche-pazienti ma non rivelava mai il nome di chi aveva bussato al suo studio. Ha inventato il chirurgo plastico da salotto ricco e famoso. Viveva del bello riflesso.
Lo chiamavano il filosofo in camice («La bellezza è frutto anche della propria accettazione e autostima«), il Michelangelo del bisturi e, per il suo essere e il suo lavorare, i francesi hanno coniato il termine pitanguiser, pitanguizzare. Un equilibrio di carisma, intelligenza e solidarietà. Meno conosciuta delle sue frequentazioni vip. 
Quando, nel 1961, il Grande Circo Nord Americano a Niteroi, nello Stato di Rio, andò a fuoco (2500 feriti e 500 morti) Pitanguy organizzò un’équipe di chirurghi internazionali per operare i superstiti. Nella maggioranza bambini. Nel 1989 Papa Giovanni Paolo II gli ha conferito il premio Cultura per la pace per aver operato bimbi malformati seguita dalla Croce Rossa. E, invece, nel mondo delle riviste patinate e della memoria collettiva lui si ricorda soprattutto per quei glutei che sfidavano la forza di gravità. Alti, sodi, tondi. Ma, secondo molti suoi colleghi e pazienti vip, con vistose cicatrici che danneggiavano l’immagine del lato B.
L’EQUILIBRIO
«A lui dobbiamo la precisione, la misura e l’equilibrio» ricorda Nicolò Scuderi, direttore di Chirurgia plastica e ricostruttiva all’università Sapienza di Roma che ha trascorso nove mesi accanto al maestro in Brasile. «Qui in Italia nessuno lavorava come lui. Ha rivoluzionato gli interventi al seno, li ha resi meno aggressivi verso la ghiandola mammaria. E poi il lifting al viso, la sua specialità».