Il Sole 24 Ore, 5 agosto 2016
In Sudafrica il partito di Mandela è stato sconfitto
Di fronte alla prima importante sconfitta elettorale dell’Anc, Nelson Mandela non si sarebbe affatto stracciato le vesti. Per lui e per Oliver Tambo, il leader del movimento anti-apartheid in prigione e quello in esilio, l’African national congress era il partito della liberazione e della democrazia. Non la forza politica dotata di un “mandato divino”, come sostiene Gwede Manthase, l’attuale segretario generale dell’Anc. Perdere elezioni – o non vincerle – aiuta la democrazia.
Mai dal 1994, le prime elezioni libere della storia sudafricana, era sceso sotto il 62% del consensi: nel 2009 era arrivato al 69, ai limiti del partito unico. Ieri sera, nel conto complessivo a spoglio quasi concluso delle elezioni comunali, l’Anc raggiungeva appena il 52 per cento. A parte Città del Capo, aveva il pieno controllo di sette degli otto grandi consigli metropolitani del paese. Ora ha perso anche quello di Nelson Mandela Bay, cioè Port Elizabeth nella provincia dell’Eastern Cape, dove è nato Mandela. Come Città del Capo, anche questo passa al principale partito di opposizione, Democratic Alliance.
In altre tre aree metropolitane l’Anc sembra vincere di estrema misura: circa un punto percentuale, sempre su Da. Non sono collegi qualunque. Johannesburg, Tshwane (Pretoria) e Ekurhuleni sono la provincia del Gauteng dove vive la maggioranza dei sudafricani: per l’economia del paese vale quanto una Lombardia. Qui l’Anc non ha solo vinto di misura: supera di poco il 40 per cento. A Durban, un altro centro industriale decisivo, vince col 33 per cento. Ieri sera Democratic Alliance era tornato in vantaggio a Johannesburg: i risultati definitivi sono previsti per oggi.
«È iniziata l’era delle politiche di coalizione», commenta Daryl Glaser, studioso all’Università del Witwatersrand. In Sudafrica non è una constatazione qualsiasi. Dopo un breve periodo di coabitazione con i bianchi del Partito nazionale, l’Anc ha sempre avuto i numeri per governare da solo ed eventualmente cambiare la Costituzione: non lo ha mai fatto, nonostante la tentazione di qualche radicale. La prova del fuoco della democrazia sudafricana sarebbe stata quando l’Anc, il simbolo della liberazione, il partito-sacrario, l’icona per oltre l’80% nero dei 56 milioni di sudafricani, avrebbe incominciato a perdere consensi. Senza repentine rivoluzioni, il momento è venuto: inizia un’epoca nuova.
Il grande vincitore è Democratic Alliance creato da Elen Zille, ora premier della provincia del Western Cape (Città del Capo). È da oltre un ventennio, prima col nome di Democratic party, che tenta di smentire la percezione comune nella grande maggioranza nera, che non sia solo il partito dei bianchi: le radici di Da sono nella tradizione delle forze politiche progressiste bianche anglosassoni, opposte ai boeri e contrarie all’apartheid. Ora il partito è guidato da Mmusi Maimane, 36 anni, di Soweto, leader da poco più di un anno. E sembra che la percezione generale stia cambiando.
Dai risultati che emergono sempre più chiaramente nelle 278 municipalità con 200 partiti e 61.014 candidati – una evidente prova di democrazia, spiega Nomatemba Tambo, ambasciatore sudafricana in Italia e figlia di Oliver Tambo – emerge una tendenza interessante: l’Anc mantiene il consenso nei piccoli centri e nelle aree agricole, ma lo perde in modo sensibile nelle grandi aree metropolitane.
Il processo di de-sacralizzazione del partito sarebbe iniziato molto più tardi, forse fra un’altra generazione, senza il contributo di Jacob Zuma, ripetutamente accusato di corruzione e di un numero notevole di altri reati. Da quando è presidente del Sudafrica, il partito si è trasformato in un carrozzone politico e affaristico. E il paese è precipitato in una crisi economica pesante: crescita zero e disoccupazione oltre il 27 per cento.
Con le prime elezioni democratiche del 1994 erano cadute le barriere razziali in politica ma non nel controllo dell’economia, rimasta una questione per pochi, esclusivamente bianchi. Col tempo una borghesia nera è entrata a far parte di quel potere esclusivo. Ma come spiega Steve Friedman, direttore del Centro studi per la democrazia alla Rhodes University di Johannesburg, «gli insider ora sono bianchi e neri ma gli outsider sono ancora quasi esclusivamente neri».