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 2016  agosto 05 Venerdì calendario

Dalla domanda all’appello, come funziona la richiesta d’asilo. Peccato che finisca quasi sempre in tragedia

Dallo sbarco sulle nostre coste a una risposta sulla possibilità di rimanere in Italia, per un immigrato possono passare più o meno due anni. E in mezzo, minimo, 900 euro. Che lo Stato paga agli avvocati per il gratuito patrocinio dovuto per ricorsi, appelli, audizioni e carte bollate. Se l’obiettivo per chi scappa da guerre o povertà assoluta è ottenere la protezione umanitaria, per qualcun altro sta diventando un business. Assai incerto, in realtà.
Questa la prassi: all’inizio il profugo racconta la propria odissea alla commissione territoriale competente per ottenere l’asilo, domanda spesso rigettata. Così, si affida a un legale, segnalato dal centro di accoglienza dove vive o da amici. L’avvocato, entro 30 giorni dal diniego, presenta ricorso, una pratica del costo di circa 900 euro. Chi paga? Siccome non esiste una normativa che regoli l’accesso automatico al gratuito patrocinio, che è a discrezione dello Stato, per ogni profugo, viene presentata domanda all’Ordine degli avvocati. Ma negli ultimi tempi, a Milano, l’Ordine ha cominciato a ritenere infondata la pretesa di assistenza gratuita, rigettando le domande. Ostacolo aggirato rivolgendosi direttamente al giudice al quale, oltre alla domanda di asilo oppure protezione umanitaria, si chiede anche di liquidare le spese legali con l’ammissione al gratuito patrocinio. Si svolge così l’udienza per il ricorso dove il richiedente ha la possibilità di essere ascoltato con più attenzione e di spiegare meglio la sua storia. Così però i tempi si allungano e i tribunali, perennemente sull’orlo di una crisi di nervi, rischiano ormai il collasso.

Il magistrato a questo punto, entro sei mesi, (ma i tempi non sono perentori) deve decidere sia sul ricorso di accoglienza sia sulle spese legali da liquidare. Tutto finito? No, perché se la decisione è negativa, ecco che scatta l’appello con l’apertura di una nuova pratica. Intanto il tempo passa e i costi salgono, visto che molti immigrati, frastornati dalla burocrazia e incapaci di reagire alle nuove condizioni, vegetano aspettando la paghetta mensile di 75 euro che viene ricavata dai 30/35 euro giornalieri percepiti dalle cooperative che si occupano dei centri di accoglienza e che comprendono tre pasti al giorno, l’affitto della struttura, lo stipendio del personale e dei mediatori, psicologo, corsi di italiano che solo alcuni decidono di seguire per avere una chanche in più davanti al giudice. La maggior parte dei richiedenti arriva da piccoli villaggi africani, dove vige ancora una gestione tribale del potere o dove sono stati coinvolti in guerriglie, hanno una bassa scolarizzazione, alcuni sono analfabeti, conoscono solo il dialetto di origine, in pochi parlano inglese o francese. Se la protezione internazionale viene negata, rimangono in Italia come clandestini o tentano di andare in Francia o in Germania. Chi invece la ottiene, deve lasciare il centro di accoglienza in cui è ospitato e se non ha una prospettiva di alloggio e di lavoro, rischia di finire per strada. In ogni caso, una tragedia.