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 2016  agosto 05 Venerdì calendario

Cento anni fa moriva Enrico Toti

Oggi, a cento anni dalla sua morte, possiamo considerare la figura di Enrico Toti con la dovuta ammirazione senza ricadere negli eccessi di retorica che l’hanno circondata nel passato. Intorno al mutilato romano, privo della gamba sinistra, che cadde sul Carso sotto il fuoco austro-ungarico il 6 agosto 1916, è stato costruito un mito che può essere discusso e criticato, come ha fatto lo studioso Lucio Fabi nel saggio Enrico Toti. Una storia tra mito e realtà (Persico, 2005). Di certo, a partire dalla copertina che gli dedicò Achille Beltrame sulla Domenica del Corriere, l’icona del combattente che muore gettando la stampella contro il nemico è rimasta impressa nell’immaginario collettivo del nostro Paese, come dimostra la vasta documentazione raccolta da Angelo Pinci nel recente volume Enrico Toti. Iconografia di un eroe.
Per capire la vicenda di Toti bisogna però conoscerne anche il retroscena, lo spirito di un giovane che a 25 anni, per via di un incidente di lavoro, si ritrova la gamba sfracellata e poi amputata fino quasi al bacino, ma reagisce con un’energia formidabile. Prosegue l’attività sportiva nel nuoto e nel ciclismo; escogita piccole invenzioni; percorre migliaia di chilometri in Europa e in Africa con una bicicletta dotata di un pedale solo, da lui stesso modificata. Amava l’avventura Toti, come aveva dimostrato imbarcandosi da mozzo nel 1897, e vide nella Prima guerra mondiale l’occasione per non essere da meno degli altri.
Eccolo correre al fronte con la bici, anche se la menomazione gli preclude l’arruolamento. Eccolo prestarsi a tutte le mansioni (falegname, cuciniere, portalettere) pur di rimanere a ridosso delle retrovie. Eccolo implorare il duca d’Aosta, cugino del re e comandante della Terza Armata, di aggregarlo a qualche reparto. Eccolo fra i bersaglieri ciclisti, sia pure con una qualifica incerta.
Il 6 agosto 1916 i combattimenti per la quota 85, a est di Monfalcone, offrirono a Toti l’opportunità che desiderava. Per coglierla pagò con la vita, sacrificata nel nome di un ideale patriottico sinceramente sentito. Anche se oggi guardiamo alla Grande guerra con sgomento più che con fierezza, l’esempio di quel disabile grave pronto a sfidare la sorte rimane degno di essere ricordato tra le luci di un periodo terribile della nostra storia.