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 2016  agosto 05 Venerdì calendario

«È un errore pensare: “A me non succederà”». Intervista alla donna che si prese una fucilata in faccia dell’ex fidanzato

Vania è stata bruciata viva, Loretta uccisa a martellate, Rosaria accoltellata... «A me è andata bene, diciamo così. Sono ancora viva e sono stata fortunata, perché l’articolazione della mandibola ha retto e ho potuto ricostruire la faccia».
La professoressa Anna Rita Calavalle non ha mai visto il bicchiere mezzo vuoto. Trentacinque anni fa il fidanzato che aveva appena lasciato le ha sparato un colpo di fucile al volto. Un istante e al posto della parte destra del viso c’era un buco. «Ho capito subito che piangersi addosso non mi avrebbe aiutato. Ricordo che i primi 3-4 giorni in ospedale singhiozzavo di continuo, poi è stato come se un’altra Anna Rita fosse venuta a parlarmi: continuare così non ha senso, mi diceva, se sei ancora qui e viva vuol dire che nel mondo c’è qualcosa che potrai fare. Fallo. È stato in quel momento che ho voltato pagina. Oggi, a sessant’anni, sono una donna felice, faccio esattamente quello che voglio e mi sento realizzata. Non potrebbe andare meglio. Ma è chiaro che sul binomio donna-violenza ho i nervi scoperti».
Impossibile non pensare a qualche dettaglio di quel giorno, il 29 dicembre del 1981. «Resto sempre ad ascoltare la notizia, a fissare il titolo. Mi immagino quelle donne e qualche volta mi ripiomba addosso tutta l’angoscia che ho dovuto affrontare per anni. Ci sono state storie per le quali ho pianto come non ho mai fatto nemmeno per me stessa. Per Lucia Annibali, per esempio. Che è di Urbino come me e che è stata sfregiata, proprio come me. Mi sono chiesta un milione di volte: perché gli uomini arrivano a tanto? E perché noi donne lasciamo che demoliscano la nostra autostima? L’indipendenza e la libertà non dovrebbero accettare mai nessun compromesso. E poi ho imparato sulla mia pelle che uno degli errori fondamentali è pensare “a me non succederà”. Io all’epoca avevo lo spirito da crocerossina, volevo salvarlo da se stesso...».
Si chiamava Gregorio, aveva 23 anni, faceva il dj in una radio privata e Anna Rita l’aveva incontrato a una festa di compleanno. Diventarono una coppia inseparabile. Lei – oggi docente e responsabile della ricerca nell’attività sportiva e motoria per l’Università di Urbino – all’epoca aveva 25 anni e, da sempre, una grandissima passione per la ginnastica. Scoprì dopo un paio di mesi dall’inizio della relazione che Gregorio era al finale di una terapia per tenere a bada la dipendenza dalle droghe. «Era sotto controllo medico, tranquillo e aveva addosso la voglia di rifarsi una vita. Gli ho detto: adesso ci sono io che ti voglio bene, non c’è più problema». Ma era un’illusione.
«Gregorio era fragilissimo, aveva conflitti aperti con se stesso e con la sua famiglia. Doveva darsi una mossa, lavorare, e invece se ne stava lì, totalmente dipendente da me. L’ho lasciato che ero ancora innamorata: per costringerlo a reagire». Dopo pochi giorni lui la ricontattò, la supplicò di vederla: «Devo darti una cosa, ti prego». E Anna Rita accettò.
«Sono arrivata e ha cominciato a rimproverarmi, diceva che io non gli stavo accanto abbastanza. Stavo uscendo e lui disse: aspetta, vado a prendere quella cosa che devo darti. Lo vidi scomparire nell’altra stanza e mi misi sull’uscio, con la faccia rivolta verso l’esterno. Volevo solo andar via. Non l’ho nemmeno visto tornare verso di me. So soltanto che mi sono sentita proiettare in alto. Pensavo: perché sto volando? Poi sono caduta e ho visto il sangue sulla porta, ho capito». Non provò nessun dolore, ricorda Anna Rita. «Istintivamente ho messo la mano sul viso e ho sentito il buco. Gli ho detto: che hai fatto? E lui: così non ti potrà avere più nessuno. Dissi: chiama un’ambulanza, rispose: non la chiamo finché non giuri che dirai che è stato un incidente. A un certo punto si è allontanato. Ho pensato: va a prendere una cartuccia e torna a finirmi, così sono scappata giù per le scale».
La teneva in piedi l’adrenalina. Anna Rita stava ancora bussando alle porte e implorando aiuto quando ha sentito uno sparo. «Ho capito subito che si era ammazzato». In questi 35 anni l’ha pensato spesso, mai odiato.