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 2016  agosto 05 Venerdì calendario

Il crollo annunciato del Pil britannico

Se la parola recessione non figura nei documenti diffusi ieri dalla Banca d’Inghilterra è solo per via della Banca d’Inghilterra. Il gioco di parole nasce dalle espressioni stesse del governatore Mark Carney esplicito nel far capire che se la contrazione, pur essendo violenta, potrebbe non determinare immediata recessione è solo per le azioni messe in campo da donne e uomini di Threadneedle street.
In realtà la Bank of England ha ipotizzato una crescita dello 0,1% nel trimestre in corso, stagnazione per il resto dell’anno e crollo del Pil da un più 2,3% - previsto tre mesi fa - per il 2017 allo 0,8 per cento. In altre parole ha annunciato la maggiore revisione economica degli ultimi vent’anni, confermando che la prospettiva per il Paese è mutata grandemente a causa dell’incertezza innescata dalla Brexit.
«Se non avessimo agito oggi la produzione sarebbe inferiore e la disoccupazione più elevata», ha detto Carney. Mossa preventiva – i dati provvisori dell’ultimo trimestre, ancora nell’era pre Brexit, indicano una crescita dello 0,6% - in attesa di una contrazione che provocherà comunque la crescita del numero di persone senza lavoro, caduta dei prezzi dell’immobiliare e un’impennata dell’inflazione destinata a raggiungere il 2,5%, ben oltre il target del 2%, a causa della progressiva svalutazione della sterlina.
L’economia nazionale, secondo la Banca centrale britannica, perderà almeno 2,5 punti di Pil rispetto alle previsioni di maggio e ballerà, in questa seconda metà del 2016 e per almeno tutto il 2017, sul ciglio della recessione. I settori che rischiano il contraccolpo più severo sono servizi e immobiliare, parte della manifattura – quella diretta alle esportazioni - potrebbe godere più degli altri del benefico effetto di una sterlina in rapida svalutazione. Lo suggerisce l’indice Pmi che, nei giorni scorsi, ha indicato una contrazione nel mese di luglio di quasi cinque punti (da 51,9 a 47,3). Si tratta dell’indice composito all’interno del quale la voce servizi pesa in maniera più significativa di altri comparti. Una ragione d’allarme in più per Londra che ha legato il suo destino economico ai servizi (80% del Pil) e a quelli finanziari in particolare che rappresentano il 10% circa dell’economia nazionale.
In un quadro economico di questo genere i maggiori think tank a cominciare dal Niesr avevano previsto una crescita negativa fin d’ora compresa fra lo 0,2 e lo 0,4 per cento. Se non accadrà sarà proprio per le misure messe in campo ieri dalla BoE. Misure efficaci sul breve, ma alla luce della crisi in corso, non risolutive.
«Il taglio dei tassi e il quantitative easing – ha notato Holger Schmieding di Berenberg – non possono essere la panacea per l’incertezza politica. Il fattore cruciale sulla crescita economica del Regno Unito sono le trattative sulla Brexit e i nuovi accordi commerciali con l’Unione europea. Fino a quando le parti non si saranno sedute al tavolo la domanda per linee di credito sarà limitata nonostante le agevolazioni correlate all’allentamento quantitativo».
Il nodo politico zavorra la prospettiva dell’attività economica congelando i progetti di investimenti infrastrutturali e paralizzando il real estate commerciale della capitale. La sospensione dei rimborsi in sei fondi immobiliari – un settimo del gruppo Aberdeen asset management ha ripreso a liquidare le posizioni - continua ed è monito della crisi potenziale di un settore che rimane pietra angolare dell’economia nazionale. Non solo perché Londra – e la capitale rappresenta da sola un quarto del Pil britannico - è al centro di un massiccio, diffuso programma immobiliare per uffici e negozi, ma anche per le conseguenze che potrà avere il contagio al real estate residenziale. Su quello si reggono le finanze di milioni di cittadini che “scommettendo” sulla crescita del valore delle case rifinanziano i mutui e spendono. Sostengono i consumi, ma fanno schizzare alle stelle il debito privato, un multiplo di quello dell’Europa continentale.