la Repubblica, 5 agosto 2016
Dobbiamo rassegnarci alla Rai schiava dei politici?
La sola cosa davvero chiara, nella vicenda delle ennesime nomine Rai accompagnate dalle ennesime polemiche, è che l’autonomia di quella azienda è solamente un mito; e lo sarà fino a che le ripetute dichiarazioni e invocazioni sul “passo indietro” dei partiti rimarranno parole, smentite dalla struttura stessa della Rai, che è sottomessa a un doppio vaglio partitico. Il primo, esplicito e istituzionale, è la Commissione parlamentare di vigilanza, il cui potere di veto e di censura, per quanto variabile a seconda della delicatezza dei suoi componenti, è pesante e costante; il secondo, più sfumato, è la nomina dei consiglieri, teoricamente selezionabili anche al di fuori della politica, nei fatti assolutamente no, perché anche il più indipendente dei consiglieri è comunque lì perché scampato a veti incrociati e sgambetti partitici. Fino a che la struttura stessa di quell’azienda non sarà resa inespugnabile, con una nuova legge e un nuovo statuto, dai partiti e dai loro cacicchi che (spesso con arroganza pari all’ignoranza in materia) sputano sentenze, boicottano trasmissioni, raccomandano amiconi e amichette, parlare di autonomia della Rai è insensato e anche parecchio ipocrita. Neanche il miglior direttore generale e il miglior presidente possono essere – nei fatti – un vero direttore generale e un vero presidente finché devono rendere conto al potere politico.