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 2016  agosto 05 Venerdì calendario

Un bel reportage da una Tripoli stremata

«È importante che l’America ci aiuti. E che anche l’Italia lo faccia. Abbiamo pochi giorni, se ce la faremo, per sconfiggere l’Is a Sirte. Per passare poi a combattere la battaglia vera del governo Serraj: deve sconfiggere la paurosa crisi economica e politica che rischia di aprire voragini in cui il terrorismo potrebbe riprodursi all’infinito. Se non rimettiamo in piedi il paese politicamente ed economicamente, i terroristi rimarranno in Libia per sempre». L’ufficiale dei servizi segreti di Misurata che conoscemmo in marzo, visitando la città- guerriera libica, fa un’analisi quasi più politica che militare. Lavora nello staff del colonnello Ismail Shukri, uno dei responsabili dell’intelligence misuratina che ha dato per settimane la caccia ai capi dell’Is, salvo vedersene sfuggire molti nel deserto quando il cerchio attorno alla città si è stretto.
Tripoli il giovedì sera, alla vigilia della festa islamica del venerdì, è una città tranquilla; la sua emergenza principale si chiama economia, non guerra. La corrente elettrica che continua a saltare di continuo, le file di decine e decine di persone davanti ai bancomat per ritirare le poche banconote disponibili, con il dollaro che è schizzato a un cambio di 1 contro 6 dinari (era 1 a 3 fino a qualche settimana fa). Gli stipendi che non arrivano e i prezzi dei beni di consumo, del cibo, del pane, dell’olio per cucinare che sono saltati di nuovo verso l’alto disperdono la pallida fiducia che i tripolini hanno offerto al governo sostenuto dall’Onu.
Insieme al generale Mohamed Al Ghasri, portavoce delle operazioni, il nostro ufficiale continua il suo ragionamento: «I raid americani sono stati decisivi per più di una ragione: stavamo perdendo troppi uomini e se anche avessimo avuto le armi pesanti che ci mancano, non potevamo distruggere a cannonate l’intero centro di Sirte per poche centinaia di terroristi. I raid sono importanti perché stavamo perdendo troppi uomini: qualcuno dice che noi di Misurata amiamo il “martirio”, amiamo presentarci come vittime del terrorismo e vantare i nostri morti. È un folle chi dice queste cose, è pazzo chi crede che vogliamo più morti per pesare di più al tavolo delle trattative fra libici. Vogliamo sconfiggere i terroristi presto, e non possiamo avere altri morti».
E poi c’è la questione che tutti in Libia hanno capito perfettamente: con i bombardamenti decisi dal presidente americano Obama, gli Usa hanno scelto definitivamente i loro “curdi di Libia”, il gruppo che a terra può combattere la battaglia contro il Daesh mentre loro, gli americani, bombardano dall’altro e paesi come l’Italia, tra mille incertezze, offrono le loro basi. Questi “scarponi sul terreno” sono quelli dei misuratini, naturalmente insieme al governo Serraj, sostenuto dall’Onu ma ancora debolissimo qui nel paese. Tra l’altro Serraj si è deciso a chiedere aiuto agli Usa dopo giorni e giorni di pressioni durissime dei misuratini: lui temeva di “sporcarsi”, di apparire quello che ancora è, un capo politico ancora debole figlio di un accordo internazionale, anche se lavora in ogni modo per guadagnarsi il consenso dei capi e del popolo libico.
L’appoggio americano trova il sostegno forte della maggioranza della popolazione di Tripoli e della Tripolitania, ma già vede molti personaggi libici lanciare distinguo politici, assieme ad attacchi che hanno un solo scopo: usare la presenza americana come uno strumento per fare politica interna. Dinamica assolutamente simile a quella che è partita già in Italia. «Noi comunque apprezziamo moltissimo il contributo dell’Italia», dice il generale Ghasri, «il vostro aiuto, a partire dalla concessione di utilizzo delle basi sul vostro territorio, per noi sono decisive».
Il gran mufti di Tripoli, Al Ghariani ha attaccato Serraj per aver chiesto l’intervento. In questo ripetendo parole più o meno simili a quelle del grande nemico di Tripoli, il generale Khalifa Haftar che da Tobruk ha definito l’intervento «illegale, una ingerenza intollerabile». Il mufti, che aveva benedetto gli attacchi americani quando dovevano colpire Gheddafi, adesso dice che «i blitz americani sono illegali, perché intervengono in una disputa fra musulmani, mentre Gheddafi non era un vero musulmano e un aiuto non-islamico allora era consentito». Anche lui, come tanti capi politici in Cirenaica ma anche all’Ovest, in Tripolitania, sulla battaglia contro l’Is gioca una sua partita politica.
E molti in Libia preferiscono difendere i propri interessi piuttosto che unirsi per sconfiggere i terroristi del Califfo. Quelli possono continuare a combatterli i misuratini.