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 2016  agosto 02 Martedì calendario

Trentasei anni fa la Strage di Bologna. 85 morti, come a Nizza


Una risposta all’Isis che macchia l’Europa (e non solo) di sangue. Belgio, Francia e Germania stanno vivendo il terrorismo sui loro territori. Ciò che l’Italia ha vissuto negli anni 70 e 80. E forse per questo qualche anticorpo in più c’è. Certo, le differenze sono tante. A cominciare dal fatto che quello dei Nar (Nuclei armati rivoluzionari, di estrema destra) e delle Brigate Rosse (estrema sinistra) era un terrorismo interno mentre quello del Califfo è internazionale. Ma l’obiettivo della disarticolazione dello Stato (o degli Stati) è, in fondo, lo stesso. Così come le farneticanti velleità: i Nar volevano imporre uno Stato autoritario (tipo Erdogan), le Br intendevano innescare la rivoluzione proletaria (Mao Tse-Tung in salsa italica), il Califfo sogna l’islamizzazione planetaria. E a pagare, in tutti i casi, sono inermi cittadini, bambini, poliziotti.
L’Isis ha la bandiera nera, così come nera è la mano che il 2 agosto 1980 posò una valigia con dentro 23 chili di esplosivo nella sala d’aspetto della seconda classe della stazione di Bologna, provocando 85 vittime e 200 feriti.

I morti provenivano da 50 diverse città, la più piccola aveva 3 anni, si chiamava Angela, aspettava con la mamma il treno per andare sul lago di Garda. Il nome di Angela e quelli delle altre 84 vittime (ci fu anche un giapponese, Iwao, arrivato da Tokyo per visitare l’Italia con una borsa di studio) saranno stampigliati su altrettante cartoline: in ognuna un nome e tre righe per spiegare chi era. L’iniziativa è del consiglio regionale dell’Emilia-Romagna e la distribuzione avverrà oggi in occasione dell’anniversario della strage. Spiega Simonetta Saliera, presidente del consiglio regionale: «Conosciamo i freddi numeri ma attraverso delle semplici cartoline si darà conto delle vite interrotte, daremo nome e cognome a ogni vittima e in poche righe focalizzeremo la sua storia».
Tra gli eroi di quella mattina ci furono gli infermieri che, come ogni anno, parteciperanno in prima fila al corteo (hanno organizzato anche una mostra fotografica).
Racconta Pietro Giurdanella, presidente della Federazione del collegio degli infermieri: «Il 2 agosto è stato il nostro 11 settembre ma è stato anche un momento di grande risposta collettiva, da quell’esperienza non a caso nacque il primo 118».
Aggiunge un altro infermiere, Roberto Marcucci: «Quel maledetto 2 agosto ero in servizio al pronto soccorso dell’ospedale Sant’Orsola e arrivò una telefonata che mi avvisava che era probabilmente scoppiata una delle tre caldaie che erano sotto la stazione per il riscaldamento e ci sarebbero stati dei feriti.

Questa fu la prima notizia. Dopo poco cominciarono a portarci decine di feriti, le ambulanze non bastavano, così vennero staccati i sedili degli autobus per fare arrivare i feriti, stesi, in ospedale. Presto finirono le barelle, stendemmo lenzuola sul pavimento, non sapevamo più da che parte girarci».
Ci sono voluti 36 anni ma una delle richieste dell’associazione che riunisce molti dei familiari delle vittime è arrivata al traguardo. Si tratta della legge che prevede il reato di depistaggio. Approvata dal parlamento il 5 luglio entrerà in vigore (non è un caso) oggi. Dice Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione e parlamentare Pd: «È stata una battaglia lunga e non facile. La classe politica non ci ha ascoltato ma la società civile ci ha sempre sostenuto e ciò ha permesso di abbattere il granitico muro dell’opacità di Stato».
Un altro fronte invece rimane aperto, almeno per metà. È quello sulla direttiva del governo riguardo la desecretazione degli atti. «L’Archivio di Stato – aggiunge Bolognesi- dovrebbe finalmente avviare la digitalizzazione e noi familiari delle vittime abbiamo ottenuto di poter controllare quei documenti. Se questi impegni saranno confermati sarà un importante passo avanti per far luce sugli aspetti ancora oscuri della strage».
Le iniziative di oggi prevedono, tra l’altro, alle 9,15 l’avvio da piazza Maggiore del corteo, alle 10,10 dinanzi alla stazione saranno tenuti i discorsi (diretta streaming su: www.lepida.tv), poi la messa. Quindi partenza del treno straordinario per San Benedetto Val di Sambro e deposizione di corone alle lapidi che ricordano le vittime degli attentati ai treni Italicus (3 agosto 1974, 12 morti e 48 feriti) e 904 Napoli-Milano (23 dicembre 1984, 16 morti), avvenute nella galleria appenninica, lungo la linea Bologna-Firenze.. Infine la sera, in piazza Maggiore, concerto dell’orchestra del teatro Comunale (diretta su RadioRai3 e in differita, l’11 agosto, su Rai5).
La strage alla stazione venne dopo quelle di Piazza Fontana (12 dicembre 1969, 17 morti e 89 feriti) e Piazza della Loggia (28 maggio 1974, 8 morti e 103 feriti). Su questa terribile vicenda c’è una verità processuale. In tre, aderenti ai Nar, Francesca Mambro, Giuseppe Valerio Fioravanti, Luigi Ciavardini sono stati condannati (in via definitiva) come autori materiali (ma si sono sempre proclamati innocenti). Nulla invece si conosce sui mandanti. Una pista seguita dagli inquirenti è stata quella della cellula massonica P2, con a capo Licio Gelli, in stretto contatto con apparati deviati dello Stato. Ma non si è mai andati al di là delle supposizioni. Il movente sarebbe stato lo stesso che spinse più tardi le Br a rapire Aldo Moro (16 marzo 1978, con l’uccisione dei due carabinieri che viaggiavano con lui e dei tre poliziotti della scorta, dal 1974 al 1988 furono 86 gli omicidi rivendicati dalle Br): bloccare l’ingresso del Pci nel governo. Se le Br scelsero non a caso via Caetani, a metà strada tra la sede Dc (piazza del Gesù) e quella Pci (via delle Botteghe Oscure) per fare ritrovare il corpo, i Nar colpirono volutamente Bologna, la città-simbolo del partito comunista.
È incredibile che a 36 anni di distanza non si riescano a storicizzare le responsabilità, a sapere chi sono stati i registi di quel crimine. Proprio questa mancanza di verità (ormai storica più che giudiziaria) ha provocato a volte, negli anni scorsi, contestazioni agli esponenti dei governi di turno, subissati dai fischi mentre parlavano dal palco. Per non rischiare, il premier Matteo Renzi non ha mandato ministri, per la prima volta non ci sarà nessun rappresentante del governo alla celebrazione.
Una polemica l’ha sollevata un libro (I segreti di Bologna, Chiarelettere) dell’ex-giudice Rosario Priore e dell’avvocato Valerio Cutonilli, che apre all’ipotesi della pista palestinese: la bomba era diretta all’Olp, l’organizzazione per la liberazione della Palestina, capeggiata da Yasser Arafat, e sarebbe scoppiata per errore. Commenta Bolognesi: «Mentre c’è chi coglie l’occasione del 2 agosto per continuare a depistare e riportare la pista palestinese, noi cerchiamo di arrivare alla verità sui mandanti. Io mi limito a far notare che ora c’è il reato. Vediamo come si può gestire la cosa. Certo per me si tratta di bassa cucina depistante».
Ma un conto è il dolo di un depistaggio, un altro è esprimere un’opinione anche se diversa da quella emersa dai processi. C’è da augurarsi che il reato riconosciuto dal parlamento serva a colpire eventuali colpevoli, non a limitare la libertà d’espressione. Conclude il neo-procuratore capo di Bologna, Giuseppe Amato: «Se emergeranno elementi meritevoli di approfondimento, il nostro sarà un impegno assolutamente massimo. Io non credo che pagine così importanti debbano essere solo consegnate alla storia, soprattutto se si tratta di una una delle pagine più dolorose della nostra storia recente”.