Il Messaggero, 2 agosto 2016
Quanto costa ai romani l’emergenza immondizia
I due maggiori problemi del Campidoglio, in termini di inefficienza a fronte dei costi sostenuti dai cittadini, sono i trasporti dell’Atac e il trattamento rifiuti dell’Ama. Lo sappiamo da un lasso di tempo che ormai si misura in 20 anni. E nessuna giunta di diverso colore politico succedutasi al Campidoglio può invocare la parte della virtù contrapposta al vizio.
All’inizio dell’operatività della giunta Raggi, i partiti dedicano il più dell’attenzione in questi giorni al ruolo che il neo assessore all’ambiente Paola Muraro ha svolto per anni come consulente per l’utilizzo degli impianti dell’Ama, e poi della società che vinse l’appalto per smaltirli in Friuli. La politica fa il suo mestiere, di cui la polemica è pilastro essenziale. Francamente, però, vorremmo chiedere alle forze politiche uno sforzo. Riflettano, e provino a separare due aspetti distinti.
Da una parte tutto ciò che riguarda la legalità pregressa e futura: i 14 dossier, cifra che da sola è spaventosa, aperti in Procura sui molteplici aspetti della gestione Ama, dai rapporti con Manlio Cerroni alla gestione del personale, dalle consulenze alle assunzioni, e via continuando fino a Mafia capitale; poi le testimonianze da rendere alla commissione bicamerale sulle Ecomafie; infine le misure anticorruzione proposte dall’Anac sulle gare. Dall’altra si concentrino invece nel far capire ai cittadini di Roma che cosa davvero prevede un serio piano industriale per Ama. In che tempi, per che realistici obiettivi, con quali risorse finanziarie. L’obiettivo deve essere la chiusura completa del ciclo del trattamento rifiuti. Stante le 5mila tonnellate quotidiane di rifiuti prodotti mediamente a Roma, con oltre 3mila di raccolta indifferenziata che vanno trattati e trasformati, è una sfida che inevitabilmente deve vedere cooperare Roma Capitale e Regione Lazio.
La chiusura di Malagrotta coi suoi 240 ettari venefici disposta dal sindaco Marino è stata un vanto. Ma lì ci si è fermati. I due centri di trattamento meccanico biologico dell’Ama lavorano a scartamento ridotto, sia quello di Rocca Cencia sia al Salario. Così gli impianti per rifiuti ad hoc, di Ponte Malnome e via Laurentina. Alle difficoltà degli impianti romani si sono aggiunte quelle di Frosinone e Aprilia, a cui si conferiscono rifiuti di Roma. E questo implica accrescere onerosissimamente il viaggio delle diverse frazioni di rifiuti alla volta dell’Emilia Romagna e Lombardia, Abruzzo e Marche.
Francamente, capire se e quando Roma e il Lazio credono di poter chiudere il cerchio da soli, oltretutto sfruttando economicamente appieno le potenzialità economiche del ciclo dei rifiuti, interessa i cittadini più delle responsabilità passate che toccherà ormai alla magistratura appurare, ma che non fanno compiere un passo avanti in vista di una Roma meno invasa dai rifiuti.
Oltretutto, c’è una seconda emergenza vera, sempre verso i romani. Quella del costo. Finora, l’incredibile anomalia consentita dalla convenzione tra Ama e Campidoglio ha consentito di traslare integralmente i costi sulle tasche di chi paga, attraverso la Tari che Ama incassa – o meglio, dovrebbe incassare – per conto del Comune.
Scrive l’Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici di Roma Capitale: «La prassi di fissare sia prestazioni sia risorse nello stesso piano finanziario di Ama ha consentito all’azienda un incremento dei pagamenti dei cittadini al di fuori di un mandato preciso e di un piano pluriennale di sviluppo del servizio, implicando il raddoppio dei costi in un decennio senza comportare miglioramenti paragonabili in termini di risultati ambientali e pulizia della città. In 8 anni la tariffa domestica sui rifiuti è balzata del 43%, quella per le imprese del 72%. Nel 2013 sono state bollette per 719 milioni su 744 di costi, nel 2014 la Tari è salita a 773 milioni, nel 2015 a 793, quest’anno dovrebbe essere di 798. E Ama nel frattempo è rimasta anche indietro pesantemente nell’incassare, facendosi anticipare le mancate riscossioni per 1,2 miliardi a titolo oneroso dalle banche. Su questo punto il sindaco Raggi ha ragione: bisogna spezzare l’automatismo che consente ad Ama certezza d’incassi a prescindere dai risultati.
Lo sappiamo, è un problema generale di mezza Italia, la mancata chiusura del trattamento del ciclo dei rifiuti. Ed è per questo che patologie analoghe a Roma capitano a Napoli, in Puglia, in Sicilia. Con centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti che prendono la rotta del Nord Italia se non del Nord Europa, consentendo ad altri pingui utili poiché hanno saputo programmare e realizzare impianti eccedentari mentre da noi mancano quelli indispensabili.
Ma consolarsi col mal comune non è cosa seria. Ripartiamo dall’ABC. Ogni sacchetto di rifiuti secondo FederAmbiente contiene un 30% di rifiuti organici, il 28% di carta e cartone, il 4% di stracci e legno, il 16% di plastica e gomma, l 8% di vetro, il 4% di metalli, il 10% di altro. Vorremmo un sindaco che dicesse ai romani e agli italiani, per ognuna di queste frazioni, se, entro quando e come chi paga così tanto avrà la ragionevole certezza di vedere impianti capaci di operarne la trasformazione e il recupero, senza perdere ma guadagnandoci.