La Gazzetta dello Sport, 2 agosto 2016
Da ieri gli americani bombardano Sirte, e andranno avanti per una settimana, con droni partiti dalle postazioni mobili sul Mediterraneo

Da ieri gli americani bombardano Sirte, e andranno avanti per una settimana, con droni partiti dalle postazioni mobili sul Mediterraneo. Il Pentagono definisce il bombardamento di ieri «leggero», qualunque cosa voglia dire questo aggettivo in questo caso. I raid andranno avanti per qualche giorno, e comunque per un periodo di tempo limitato.
• Obiettivo?
L’obiettivo è cacciare da Sirte le milizie dello Stato islamico che sembrano sempre in procinto di arrendersi e invece non si arrendono mai. Sirte era data in caduta già a maggio, ma da allora ad oggi i miliziani hanno addirittura riconquistato qualche villaggio. Altro obiettivo non dichiarato del raid americano è quello di impedire alle truppe del generale Haftar di prender lui Sirte. Per ragioni politiche è necessario che questo trofeo sia raccolto dal governo di Fayez al Sarraj, quello riconosciuto dalla comunità internazionale.
• Possono gli americani venire a bombardare in Libia, cioè a pochi chilometri da casa nostra?
L’intervento è stato reso possibile da una richiesta partita domenica sera dal governo di Tripoli, quello considerato dal resto del mondo «legittimo»: si invocavano dal presidente Obama «interventi chirurgici per eliminare le sacche di resistenza dello Stato islamico a Sirte». Ieri sera, il portavoce del Pentagono, Peter Cook, ha dato l’annuncio dell’intervento con queste parole: «Oggi in accordo con quanto chiesto dal Governo di Unità Nazionale, forze militari degli Stati Uniti hanno condotto operazioni militari su Sirte per sostenere le operazioni delle forze affiliate al Governo di Unità Nazionale impegnate sul campo a sconfiggere le resistenze dell’Isis in Libia». I raid sono stati autorizzati da Obama su raccomandazione del segretario alla Difesa Ash Carter e dal capo di stato maggiore delle forze armate, il general Joseph Dunford. Da Tripoli Fayez al Sarraj ha chiarito che «non sono presenti truppe Usa sul terreno».
• Chi combatte a terra?
Le milizie del premier Sarraj e le Guardie petrolifere di Ibrahim Jadhran. La creazione di un governo legittimo a Tripoli, lo scorso dicembre, è costata un lungo sforzo della diplomazia di tutto il mondo, ma è servita soprattutto a questo: creare un organismo legittimato a chiedere l’intervento di potenze straniere. Verrà anche il nostro momento, prima o poi. A maggio al Sarraj aveva chiesto che fosse tolto l’embargo sulle armi e che gli venisse fornita assistenza con l’addestramento.
• Com’era la situazione sul terreno prima del bombardamento?
Due settimane fa Sirte sembrava sul punto di cadere. Isis controlla ancora quattro-cinque chilometri quadrati nel cuore della città, oltre al centro congressi di Ouagadougou. I guerriglieri rimasti a dar battaglia non dovrebbero essere più di 500. Le milizie di Misurata e di Tripoli, nel frattempo, hanno perso 280 uomini, e hanno dovuto portare in ospedale 1.500 persone. Scarseggiano munizioni e armi pesanti. L’avanzata in città è resa problematica dalle mine che gli uomini del Califfo hanno piazzato sotto strade e palazzi. Non si fanno prigionieri. Ciascuno dei jihadisti - riferiscono quelli di Misurata - è pronto a a gettarsi in mezzo al nemico e farsi esplodere. Il bombardamento americano servirebbe a dare l’ultima spallata.
• Ricordiamo, per favore, la situazione politica con i due governi in conflitto.
La Libia è spaccata in due, con una capitale e un parlamento a Tripoli in Tripolitania, e una capitale e un parlamento a Tobruk, in Cirenaica. La comunità internazionale - capeggiata da americani e italiani - riconosce e sostiene il governo di Tripoli. Gli egiziani e, sotto sotto, i francesi, appoggiano il governo di Tobruk. L’uomo forte di Tobruk è il generale Haftar, che vuole avere su quel territorio un ruolo da protagonista e finora ha combattuto l’Isis per conto suo, riconquistando varie città e villaggi. Vincendo sul terreno, Haftar si propone come punto di riferimento dei libici, e mette in difficoltà il governo che il mondo considera legittimo, quello di Tripoli. Per unificare la guida politica del Paese, occorrerebbe che il Parlamento di Tobruk, con una maggioranza qualificata, approvasse l’insediamento del governo al Sarraj a Tripoli. Finora, nonostante le molte sedute, non c’è mai riuscito: mancano sempre una ventina di voti.