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 2016  luglio 31 Domenica calendario

La caduta della Ferrari, l’ascesa delle Red Bull

È il Gp con più stelle che in cielo: sulla tribuna più grande del «motodrom», sul centro conferenze, sui van che trasportano i vip, il simbolo della Mercedes è ovunque. Poteva mancare in prima fila? Che domande. Dall’alba dell’era ibrida in F1, nel 2014, la scuderia tedesca ha timbrato 47 pole position su 50, l’ultima è di Rosberg che beffa Hamilton per un decimo. Un dominio totale paragonabile al monopolio McLaren di Prost e Senna, ai cinque scudetti di fila vinti dalla Juventus. Se al sabato il copione è già scritto per i primi due, dietro t’aspetti la Ferrari. E invece come ormai capita da un po’ c’è la Red Bull. Risorta dalle ceneri di una stagione orribile in cui ha rischiato di restare senza motore, oggi può diventare la seconda forza del campionato.
La caduta del Cavallino ricorda quelle slavine che non sai mai dove si fermeranno. Sebastian Vettel è in evidente imbarazzo davanti al pubblico di casa che lo applaude a ogni passaggio: «Non eravamo competitivi non solo rispetto a chi ci precede ma anche nei confronti di quelli dietro: la Force India è a due decimi (Hulkenberg realizza il settimo crono ma parte retrocesso di una posizione per un’irregolarità sulle gomme, ndr )». Sempre più pensieroso predica realismo: «La macchina non era bilanciata, abbiamo faticato per metterla a punto ma senza trovare il set up. Non siamo qui per arrivare quinti e sesti. Adesso sarà dura passare la Red Bull».
È la radiografia dei mali della Ferrari: una vettura la SF16-H, nata sotto una stella poco felice e cresciuta molto peggio. Come certi adolescenti immaturi. Il motore è valido – così è stata giustificata la promozione di Mattia Binotto al ruolo che era di James Allison – ma telaio e aerodinamica non sono allo stesso livello. Inoltre gli aggiornamenti non funzionano, mentre la Red Bull ha colmato il divario con soluzioni ingegnose su ali e assetto. Per Seb «Margherita» è una pizza indigesta e a metà stagione il quattro volte campione del mondo deve fare scorta di Maalox. Ogni week end si trasforma in un rodeo, per tentare di domarla spinge all’estremo e ne paga le conseguenze: in un passaggio deciso all’esterno di un cordolo ha danneggiato il fondo. Ma al netto dell’errore, senza il quale probabilmente sarebbe stato davanti a Kimi Raikkonen, resta una certezza: la Red Bull che vola. E con un margine minimo di un solo punto in classifica costruttori oggi c’è poco da star sereni.
Qual è il mistero per cui la Rossa regredisce? Perché da un gap assai ridotto dalle Mercedes nelle ultime prove libere si passa poche ore dopo a un secondo? Una delle spiegazioni sta nella difficoltà di trovare la «finestra» giusta per mandare in temperature le gomme. Bastano piccole variazioni del termometro per finire senza bussola. Debolezze evidenziate anche da Kimi Raikkonen: il finlandese però nella burrasca sembra governare meglio il timone del compagno. «Non c’è un punto della pista dove perdiamo di più, abbiamo bisogno di carico aerodinamico. Se spingiamo andiamo oltre il limite».
Accanto al duello Ferrari-Red Bull, c’è quello che vale il Mondiale fra Hamilton e Rosberg. Per il tedesco è la quinta pole della stagione, ma il compagno ha vinto cinque delle ultime sei gare. Ad assistere allo spettacolo nei box della Mercedes c’è Mick Schumacher: quando suo padre trionfò qui per la prima volta lui non era ancora nato.