Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  luglio 31 Domenica calendario

«Ho imparato che gli investimenti vanno seguiti in prima persona». Gigi Buffon racconta la sua avventura con Zucchi, quella che gli è costata 20 milioni

Le vacanze hanno «rappacificato e rasserenato». Gigi Buffon dopo l’uscita da quegli Europei ai quali, dice, «a un certo punto avevamo fatto la bocca… Ma, alla fine, vince sempre uno. Abbiamo, comunque, messo in campo quello che piace al tifoso, l’abnegazione, l’impegno».
Una abnegazione e un impegno che Buffon ha messo anche in Zucchi, storico marchio italiano del tessile per la casa nel quale si è buttato senza risparmiarsi. Più di 20 i milioni investiti, e persi, dal calciatore in cinque anni per cercare di dare un futuro a un’azienda che fa parte del patrimonio del Paese e da cui Buffon è uscito definitivamente pochi giorni fa, passando la mano al fondo francese Astrance.
Un pronostico che non si è avverato…
«Non del tutto – risponde il capitano della Nazionale – ma sicuramente abbiamo fatto il massimo per evitare che tutto andasse perduto. Quale fosse la situazione di Zucchi prima che io entrassi credo che lo sappiano tutti. La mia soddisfazione è che, nonostante le pressioni perché facessimo tagli del personale o perché cedessimo la proprietà a fondi aggressivi, abbiamo resistito e siamo riusciti a portare la barca in porto senza licenziare e passando la società a un partner industriale molto forte che ha già dimostrato di saper rilanciare un’azienda. La mia priorità era salvaguardare le 1.200 famiglie che lavoravano per l’azienda. Penso di aver fatto bene a resistere».
Che lezione ha imparato?
«Che gli investimenti vanno seguiti in prima persona, soprattutto se sono di portata straordinaria come nel caso di Zucchi. Non va mai bene delegare a professionisti o a persone che possono sembrare di fiducia. L’aria in azienda deve respirarla chi mette i soldi».
Cosa intende dire?
«Sicuramente in cinque anni ci sono state situazioni di poca trasparenza, una mancanza di chiarezza che ha portato, in certi momenti, a prendere una decisione piuttosto che un’altra e questo, sì, è un rimpianto. Se mi avessero informato per tempo e in maniera corretta su quelli che erano i numeri e il momento che stava vivendo la società sicuramente sarebbero state fatte scelte diverse e personalmente meno dolorose. Mi sono state addirittura omesse offerte di acquisizione giunte ad inizio 2014, quando ancora si era lontani dall’allarme rosso».
Voleva dar vita a un grande progetto di rilancio italiano. Ci crede ancora?
«Ci credo fortemente e credo ancora nella forza dei marchi Zucchi e Bassetti. Sono certo che Zucchi con Astrance, con dei piani industriali ad hoc e con persone di spessore che hanno conoscenza del settore abbia molte possibilità».
Lei è sempre stato un forte sostenitore dell’Italia.
«Credo di aver girato il mondo in lungo e in largo ma un Paese bello e con le risorse come il nostro non l’ho ancora visto. Dovremmo, però, cercare di fare più squadra tra italiani per tutelare la nostra storia. Anche quella di marchi importanti che ci hanno resi famosi nel mondo. Molte aziende storiche sono state rilevate da stranieri e questo è un peccato. Quando una Zucchi viene presa da qualcuno che non è italiano è un piccolo dispiacere. Con tutti gli imprenditori del nostro Paese che potevano mettersi insieme e con le loro grandi esperienze fare una cordata…»
Lei ha altri interessi economici, ha comprato La Romanina e l’hotel Stella Della Versilia, oltre ad aver creato un centro diagnostico a Marina di Carrara. Ha in programma altri investimenti nel turismo?
«Per il momento no. Lo stabilimento balneare è gestito da mia sorella maggiore e da mio cognato, mentre l’albergo dall’altra mia sorella con suo marito. La immobiliare, invece, la gestisce tutta la famiglia insieme. E io li devo ringraziare tutti perché non mi danno ulteriori pensieri, lasciandomi concentrare solo sul mio lavoro, che è il calcio».
Esistono patti parasociali tra di voi?
«Siamo una famiglia, almeno a oggi, di stampo patriarcale, ma anche con influenza importante della madre, e se c’è una cosa della quale vado orgoglioso è che abbiamo sempre avuto un rapporto di grande fiducia e stima mai venuto meno. Per ora valgono solo sentimenti, nessun patto parasociale».