Corriere della Sera, 31 luglio 2016
Da Wojtyla a Francesco, come cambiano gli appelli dei papi
Papa che vai appelli che trovi: sono tre i Papi delle Giornate della gioventù, che si fanno da trent’anni, e tre sono le chiamate che hanno rivolto ai ragazzi nel tentativo di farne dei cristiani adulti. Tre chiamate diverse per tono e contenuto, ma nessuno dei tre Pontefici ha giocato al ribasso per cercare l’applauso delle nuove generazioni. Wojtyla, il Papa eroico della lotta al comunismo e della reazione alla malattia, invitava i giovani a combattere per la libertà e in difesa della vita. Rievocava la sua giovinezza, quando aveva conosciuto il lavoro in miniera, la resistenza all’occupante tedesco, l’oppressione del comunismo. «Il Vangelo – disse una volta Giovanni Paolo II ai giovani olandesi – ci mostra un Cristo che non è stato indulgente in fatto di amore coniugale, di aborto, di relazioni sessuali prima e fuori del matrimonio, di relazioni omosessuali!» (Utrecht, 13 maggio 1985). «La permissività non rende felici gli uomini» affermò in altra occasione e così difese le sue parole esigenti: «I giovani non rifuggono affatto da esse, si direbbe, piuttosto, che le attendano». Ratzinger, il Papa teologo, chiamava i ragazzi all’approfondimento del messaggio cristiano, nell’ascolto delle Scritture e nel silenzio adorante di fronte all’Eucarestia. È lui che ha introdotto le pause di silenzio nelle liturgie papali e l’adorazione dell’Ostia consacrata, che è stata poi mantenuta e che si è fatta anche ieri a Cracovia. Papa Benedetto insisteva sui «valori non negoziabili» quanto Giovanni Paolo II, ma la componente più originale della sua predicazione consisteva nella «teologia dell’amore», che lo portò ad affermare che Dio è «tutto amore e solo amore» con la stessa insistenza con cui oggi papa Francesco afferma che «Dio è tutto misericordia e solo misericordia». Per rendere comprensibili ai giovani gli approfondimenti dottrinali che proponeva, papa Ratzinger ricorreva a metafore improntate alla cultura scientifica che affascina i ragazzi. Una volta parlò dell’amore come «traccia» della Trinità inscritta nel «genoma» umano, un’altra volta utilizzò l’immagine del «Big bang» per trattare della Risurrezione. Alla Giornata della Gioventù che si fece a Colonia nel 2005 propose una vertiginosa similitudine tra il mistero eucaristico e la fissione nucleare: «È questa – per usare un’immagine a noi oggi ben nota, la fissione nucleare portata nel più intimo dell’essere – la vittoria dell’amore sull’odio, la vittoria dell’amore sulla morte». Francesco infine, il Papa delle periferie e della misericordia, spinge i ragazzi al servizio del prossimo e al soccorso dei diseredati. «Nell’accoglienza dell’emarginato che è ferito nel corpo, e nell’accoglienza del peccatore che è ferito nell’anima, si gioca la nostra credibilità come cristiani. Non nelle idee, lì!», ha detto a Cracovia l’altro ieri. Il diverso accento rispetto ai predecessori è evidente, ma sbaglia chi ritiene che il Papa argentino restringa il capitolo dei doveri per agganciare le moltitudini giovanili. Egli non è esigente solo sui doveri sociali ma non fa sconti neanche su quelli morali e sessuali. «L’amore non è la telenovela» ha detto l’anno scorso ai ragazzi di Torino: «Perdonatemi se dico una cosa che voi non vi aspettavate, ma vi chiedo: fate lo sforzo di vivere l’amore castamente».