la Repubblica, 31 luglio 2016
Su Marta Marzotto e sull’Italian Dream
Un complessivio rispetto, forse una sorridente complicità, hanno accolto la scomparsa di Marta Marzotto (parlo dei giornali; non so che cosa si sia postato in rete perché evito accuratamente di saperlo). Strano, perché la sua fastosa e ostentata frequentazione dei salotti, delle “caste” di ogni ordine e grado, della ricchezza e del potere, sembrerebbe, di questi tempi, uno stigma indelebile; e in parte lo è, considerando le difficoltà e gli stenti di molti.
Azzardo una spiegazione. La signora nacque povera e faceva la mondariso (glorioso e durissimo lavoro dell’Italia contadina). La sua avventura umana è uno dei pochi esempi lampanti di “italian dream”, realizzato grazie a una rimarchevole bellezza (comune a molte donne) unita a una vivezza di carattere e una voglia di vivere invece non comuni. La sua ascesa sociale pare uscita da un romanzo francese; contiene, nella sua spavalda determinazione, una luce di successo che non può lasciare indifferente neppure il più ringhioso odiatore della “gente bene”. Ci sono pagine del “Provinciale” di Bocca (meraviglioso libro) che dicono benissimo di questa umana smania di farcela e di salire in cima, motore di ogni società e in modo speciale dell’Italia della seconda metà del Novecento, quella della Marzotto e di Bocca. Spesso il successo diventa arroganza, esclusione degli altri, disuguaglianza che si cristallizza. In pochi fortunati casi il successo viene (quasi) perdonato, perché vale a garanzia dei sogni, confessati o inconfessabili, di molte e di molti.