31 luglio 2016
In morte di Anna Marchesini
Michele Serra per la Repubblica
Quando veniva da Fabio Fazio a Chetempochefa, ogni anno più gracile e sofferente, assottigliata dalla malattia, ci si chiedeva con ansia crescente come avrebbe potuto affrontare la sua mezz’ora davanti alle telecamere. Dopo un minuto che era in camerino l’ansia era un solo vago ricordo, quel fantasma di osfsa e spirito trasmetteva una vitalità contagiosa. Con il dolore era dignitosa e beffarda, come si conviene ai grandi comici e ai grandi stoici.
Fazio la voleva a tutti i costi, quasi a dispetto delle forze declinanti, perché aveva in Anna una fiducia cieca. Non la fiducia professionale di chi conosce bene la gente di spettacolo; era una fiducia totale nella persona prima ancora che nell’artista. Amicizia antica, di rara durata e rara profondità nel mondo dello spettacolo, che Anna ricambiava sedendosi su quella poltrona bianca, controllando il proprio corpo febbrile, oramai inconsistente dentro i vestiti, e l’ultima volta governando con fatica anche la favella che cominciava a deragliare, insieme ai muscoli facciali.
Era il 2 novembre del 2014, giorno dei Morti, e Marchesini, che avrebbe debuttato due giorni dopo al Piccolo di Milano, quasi solamente della morte parlò, con strepitosa leggerezza, nel suo italiano colto, ironico, poco cerimonioso. Perfino le mani, torte dalla malattia e mutate quasi in uncini, nello studio televisivo (come in teatro) assumevano una leggiadria farfallesca, disegnavano domande, chiamavano il pubblico, recitavano anch’esse.
Come nelle migliori storie di attore, recitare le aveva fornito una doppia vita e una doppia forza. Era di quelli che fino allo stremo, raccogliendo un’energia interna inimmaginabile per un non-attore, voleva guardare negli occhi il pubblico, parlargli, non lasciare cadere a terra il lungo filo del racconto. Della sua grande determinazione era parte integrante anche la capacità, non comune a tutti gli artisti, di essere partita dal “facile”, dalla battuta agile, dalle imitazioni, dal varietà, dalla velocità televisiva, e non essersi mai accontentata. Aveva enormi mezzi di attrice, la mimica, la voce molto versatile, e una insaziabile curiosità di tutto quello che poteva essere messo in scena. Come capita spesso ai bravi comici è approdata al dramma e alla letteratura (Beckett, Landolfi) conquistandoseli passo dopo passo. Nei suoi ultimi anni, nella maniera di affabulare, nei riferimenti colti però lasciati cadere lì quasi per ridere, ricordava Paolo Poli; e me lo ricordò anche quel 2 novembre di quasi tre anni fa quando raccontò dell’obitorio di Orvieto, di «mamma che amava tanto vestire i morti», con un cinismo mai offensivo, sorridente anche quando si alludeva al sipario chiuso per sempre.
Non meritava di interrompere così presto la sua storia ma sapeva di doverlo fare. Non sapremo mai se davvero è stata, nella malattia e nella morte, così impavida e così allegra; o se era soltanto per amore del pubblico. Ma questo è il segreto di ogni attore.
Cinzia Romani per il Giornale
Far ridere non è faccenda da donne, dicono: invece che in burlesco, le preferiscono in burlesque. Lo sapeva bene Anna Marchesini, la brava attrice, regista, doppiatrice e scrittrice di Orvieto, morta ieri a 63 anni per una grave forma di artrite reumatoide e che per 40 anni ha saputo strappare risate ai più seriosi con la sua formidabile ironia. Negli ultimi tempi veniva tenerezza a guardarla,i ntervistata in tivù da Fabio Fazio, con quelle mani deformate e il viso sofferente, la dizione lenta. Lei, che aveva impersonato la Sora Flora, la sessuologa Merope Generosa, la Signorina Carlo, la Bella Figheira e, soprattutto, la Lucia manzoniana meritevole d’aver riconciliato gli studenti con I promessi sposi, si riconosceva a stento. Eppure, la Cameriera Secca dei signori Montagné aveva così profonda consuetudine con la frivolezza da suscitare comunque buonumore, anche parando le botte d’una salute malferma. L’annuncio della morte di Anna, dato dal fratello Gianni su Facebook, è arrivato come l’ennesimo dispetto di quest’estate nera per gli artisti. «Ho adocchiato una vetrinetta in sala riunioni, con un piccolo cofanetto verde di porcellana, credo. Ritengo sia ideale per contenere le mie ceneri», ha scritto sul suo sito l’attrice. «Sono così obesa di vita, che m’interessa pure la morte», aveva detto da Fazio.
Membro storico e anima del Trio, insieme a Tullio Solenghi e a Massimo Lopez, la Marchesini aveva debuttato in teatro nell’estate del 1976, con Il borghese gentiluomo diretto da Tino Buazzelli. Allieva dell’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, dove si diplomò nel 1979 (dopo essere stata bocciata due volte agli esami d’ammissione), cominciò a far parte d’una compagnia con Platonov di Anton Cechov, al Piccolo di Milano, diretta da Virginio Puecher. Solenghi l’avrebbe incontrato in Svizzera, nei primi anni Ottanta, curando un programma per italiani. Massimo Lopez, poi, lo conoscerà a una seduta di doppiaggio: Anna ha prestato la sua voce a cartoni animati della Disney, doppiando anche Judy Garland ne Il mago di Oz. Amato dal pubblico televisivo, che comincia ad apprezzare il Trio su Raidue, con lo spettacolo d’esordio Helzapoppin, il sodalizio si scioglierà nel ’94, dopo i successi di Tastomatto, Domenica In, Fantastico. Al Trio va riconosciuto il merito d’aver trascinato il pubblico televisivo a teatro: al Sistina di Roma, Allacciare le cinture di sicurezza (1987) valse il Biglietto d’oro ai tre comici. In principio era il Trio, altro grande successo del ’91, fu l’ultimo exploit: nel 1994 il Trio si sciolse, perché Massimo Lopez volle fare il solista, per tornare insieme nel 2008, con la conduzione a tre di Non esiste più la mezza stagione.
Sposata a Parigi nel 1991 e poi burrascosamente separata - per una questione di assegni di mantenimento, tema di gossip nei Novanta - dall’attore tarantino Pasquale «Paki» Valente, padre della loro figlia Virginia, Anna Marchesini dalla vita ha avuto un ultimo regalo: vedere la figlia laureata. «Proviamo un dolore immenso, anche se sapevamo che quella malattia, e le medicine che si prendono, ti prosciugano. Non so come abbia fatto a resistere: ma Anna ha dimostrato fino all’ultimo una incredibile capacità di lottare», ha detto il fratello Gianni.
Per Pippo Baudo, che nel 2002 ha avuto la Marchesini a fianco, sul palco del festival di Sanremo, l’attrice «era una donna, una mamma, un’artista eccezionale. Si portava dietro le sue qualità, con grande simpatia e ironia. Non era mai banale ed era sempre interessante. Ha fatto tanto e poteva fare ancora molto in tv e a teatro, ma purtroppo la salute non l’ha accompagnata». Addolorato per la scomparsa dell’amica, Fabio Fazio ha dichiarato: «In questo mestiere si usa con eccessiva disinvoltura la parola amico, ma per me Anna lo era davvero. Ci siamo sentiti continuamente e fino a qualche settimana fa ci siamo detti anche le cose più intime e personali». Anche le reazioni della Marchesini alla sua malattia sono state lodate da Antonella Celano, presidente dell’Associazione Persone con Malattie Reumatiche: «Con il suo comportamento, coraggioso e solare, Anna Marchesini è stata un esempio virtuoso e positivo per tutte le persone affette da patologie reumatiche. La sua positività e l’appassionato attaccamento alla vita, da lei più volte dichiarato, è un modello da seguire».
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Maurizio Porro per il Corriere della Sera
Eppure non si può pensare ad Anna Marchesini, morta ieri mattina nella sua Orvieto a 62 anni dopo un atroce calvario, senza dedicarle un ultimo sorriso. Era una forza comica naturale e lo dimostrano gli anni passati con l’amatissimo trio condiviso con Solenghi e Lopez, l’adesione nazional-popolare alla parodia dei Promessi sposi in televisione, e quella grande forza di osservazione sulle piccole cose che la rendeva amata dal grande pubblico e anche coccolata dalla nicchia che si divertiva alle imitazioni, un classico cavallo di battaglia comico, di grandi protagoniste femminili come Wanna Marchi e Rita Levi Montalcini.
Una vita che sembrava all’insegna dell’allegria, iniziata a Orvieto il 19 novembre del 1953, che ha saputo trasmettere la forza salvifica dell’umorismo e che poi, forse per una memesi storica, l’ha costretta a un lungo e doloroso finale di partita. Non solo l’artrite reumatoide che l’aveva inchiodata a una vita sempre più infelice ma che non le impedì di esibirsi quasi fino all’ultimo, ma anche le complicazioni personali che la portarono a un divorzio burrascoso dall’ex marito, Paki Valente.
Quindi, accanto ai momenti di popolarità globale come un’edizione storica di «Domenica In», 40 puntate 40 mila risate, e un «Fantastico» che rimane negli annali per la parodia di Khomeini che rischiò di compromettere i rapporti tra Italia e Iran, ci sono state anche scelte dell’attrice rivolte a un pubblico più ristretto, più colto, più pronto a mescolare l’ironia con la tristezza: la satira irresistibile di Alan Bennett della Cerimonia del Massaggio , Le d ue zitelle di Tommaso Landolfi e Cirino Marilda non si può fare , il reading presentato nell’ultima stagione al Piccolo Teatro, dove aveva mosso i primissimi passi in un famoso Cechov di Strehler.
Negli anni in cui visse il Trio andarono in scena due show bestseller in tutta Italia: Allacciate le cinture di sicurezza e In principio era il Trio , un vero miracolo di irriverenza, di intelligenza ma anche di comunicazione con il grande pubblico, un cabaret che mescolava il talento di tre personaggi, che poi si divisero per riunirsi infine, 25 anni dopo, in una rivista nostalgica. Marchesini, Solenghi e Lopez avevano avuto un inizio «genovese» scritturati dalla Rai per un programma radiofonico dal titolo «Helzapoppin RadioDue», che si prolungò a furor di ascoltatori dando il via alla popolarità destinata naturalmente a confluire nel varietà televisivo cui il trio seppe dare un’impronta personale di ironia legata alla cultura come nel caso della spiritosissima parodia manzoniana. Diplomata nel 1979 alla D’Amico, la Marchesini ebbe occasione di lavorare con grandi mattatori, tra cui Guazzelli, Maranzana, Scaccia non a caso tutti maestri anche di rude umorismo. Ha avuto il coraggio di allargare il suo sorriso, sempre più venato di malinconia, scrivendo tre volumi ( Il terrazzino dei gerani timidi ; Di Mercoledì ; Moscerine ) editi con ottimo successo.
L’attrice, una delle poche donne che hanno iniziato scegliendo il gusto della risata, aveva apprezzato le doti e l’intelligenza di Franca Valeri, maestra di tutte, adeguando però la personalità non solo alla convivenza con altri due attori di diversa estrazione ma riuscendo anche a toccare nevrosi e manie contemporanee senza abbandonare il pathos del personaggio femminile. Nell’ultimo periodo della sua carriera, l’attrice ha prepotentemente richiesto alla donna, senza mai un peccato neppure veniale di volgarità, un ruolo speciale che il pubblico, vedendola sempre più minuta, indifesa e sola in scena, ripagava con un entusiasmo in cui c’erano diverse ragioni per dirle grazie. Come ha fatto ieri Fabio Fazio fra le lacrime: «A me ora mancherà un’amica che ci ha fatto tanto ridere. È il grande privilegio dei comici lasciare una risata nel ricordo».