Libero, 1 agosto 2016
L’algoritmo che disegna la geografia della radicalizzazione
Che cosa rende un paese vulnerabile al terrorismo islamico? È una delle domande più importanti di questi ultimi anni e due ricercatori americani credono di aver trovato una parte della risposta. William McCants e Christopher Meserole non sono due scienziati qualunque: sono ricercatori del Brookings Institute, uno dei più antichi e prestigiosi think tank americani. Il Brookings si occupa soprattutto di politica estera e sicurezza e negli ultimi nove anni ha sempre vinto il premio come «miglior think tank del mondo», assegnato dall’Università della Pennsylvania. McCants e Meserole sono esperti di Islam e terrorismo e Meserole conosce anche gli algoritmi e l’apprendimento automatico, la tecnologia che permette a Facebook di suggerirvi chi taggare in una fotografia ancora prima che voi gli diciate chi era presente. Meserole ha usato proprio questa tecnologia per rispondere alla nostra domanda: cosa rende un paese vulnerabile al terrorismo? La sorprendente risposta è che il primo fattore di rischio è quello di essere un paese influenzato dalla cultura laicista francese.
È una risposta che ha causato moltissime discussioni nel mondo accademico e che ha portato molte critiche sui due ricercatori. Ma a differenza di molte altre teorie comparse negli ultimi anni, quella di McCants e Meserole poggia su basi numeriche.
I due sono partiti cercando un indicatore per stabilire quanto la popolazione musulmana di un paese è radicalizzata, cioè ha adottato una versione così estrema della propria religione da essere disposta a usare la violenza per imporla.
FOREIGN FIGHTERS
Non esiste un «indice di radicalizzazione», quindi i due ricercatori hanno usato il numero di «foreign fighters» partiti per la Siria, un indicatore non perfetto ma comunque abbastanza significativo. McCants e Meserole hanno usato un database che contiene tutti i foreign fighters partiti da cinquanta paesi diversi, hanno calcolato qual è la media di foreign fighters partiti per la Siria sul totale della popolazione musulmana residente in un paese e poi hanno stilato una classifica dei quaranta paesi in base a quelli che deviavano di più dalla media. A questo punto entra in gioco l’algoritmo. Semplificando molto, funziona così: i due ricercatori hanno inserito in un computer quaranta variabili che sono state indicate da vari esperti come possibili cause del terrorismo: dalla presenza di rifugiati alla povertà, dalla disoccupazione giovanile all’istruzione e così via.
RADICALIZZAZIONE
Immaginate una tabella: nella prima colonna ci sono tutti i paesi disposti in base alla loro posizione nella classifica della radicalizzazione. Accanto ad ogni paese ci sono altre quaranta caselle e in ogni casella c’è il valore per quel paese di un fattore che potenzialmente contribuisce al terrorismo. Semplificando molto, l’algoritmo usato dai due ricercatori ha testato «gruppi» di queste possibili cause per cercare di scoprire quale di questi fattori era in grado di «prevedere» con maggior precisione la posizione in classifica di un certo paese.
Ad esempio, se tutti i paesi in testa alla classifica mostrano valori simili nel campo dell’istruzione e del reddito procapite, significa che probabilmente istruzione e reddito sono in qualche maniera collegati al terrorismo. Quando l’algoritmo ha terminato il suo lavoro la prima causa di radicalizzazione individuata era essere un paese francofono o dove il francese è stata in passato la lingua ufficiale. Evidentemente non può essere la lingua che produce terroristi. Il francese è evidentemente la spia di qualcos’altro: di un tipo di cultura politica, secondo i due ricercatori: la laïcité. Fin dal Settecento la Francia si è identificata con la razionalità, la ragione e la laicità. La Francia è il paese dove stato e chiesa sono separati da un muro invalicabile e dove qualunque manifestazione pubblica di religiosità è considerata una mancanza di buona educazione. Secondo i due ricercatori, questo tratto culturale si è diffuso a vari livelli in tutti i paesi di lingua francese, dal Belgio al Quebec, passando per la Tunisia e in parte persino in Libano. La laicità, ancor più della religione, sarebbe per molti radicali il varo nemico. Dopotutto, secondo la tradizione, Maometto disse di lasciare liberi i «popoli del libro», cioè cristiani ed ebrei, a patto che pagassero una tassa speciale, ma ordinò invece di non avere pietà verso i senza Dio.
UNA TEORIA ASTRATTA
È una teoria elegante, ma che sembra un po’ astratta. Per questa ragione i due ricercatori hanno provato a cercare qualche esempio pratico di come il laicismo francese possa aver scatenato direttamente la radicalizzazione dei musulmani. I due credono di averlo trovato nelle leggi che vietano di indossare il velo integrale in luoghi pubblici. Francia e Belgio sono due dei pochi paesi europei che hanno vietato questo indumento religioso e lo hanno fatto proprio negli anni immediatamente precedenti all’inizio della guerra in Siria, quella che ha portato alla nascita dell’ISIS.
Anche la Tunisia ha discusso l’approvazione di una legge simile e lo stesso è accaduto in Quebec. Diversi familiari di foreign fighters canadesi hanno raccontato che la legge sul velo è stata la «goccia che ha fatto traboccare il vaso» che li aveva spinti a partire. Meserole e McCants sono stati molto criticati e la loro teoria è stata attaccata, soprattutto dai francesi – al punto che i due hanno raccontato di aver dovuto cancellare i social network dai loro smartphone per non essere sommersi di notifiche. Altri esperti sostengono con forza altre teorie. Una delle più diffuse è quella del sociologo francese Olivier Roy, secondo cui stiamo assistendo a una «islamizzazione dei radicali»: folli, matti e depressi che in situazioni normali compirebbero atti nichilisti come il suicidio, usano l’Islam radicale per dare una dignità e un senso alla loro sofferenza psicologica e così facendo compiono atti terroristici.
LUPI SOLITARI
Un altro filone invece, sostenuto ad esempio da Gilles Kepel, uno dei più autorevoli studiosi di jihadismo, è la «radicalizzazione dell’islam». L’aumento del terrorismo sarebbe dovuto alla diffusione di una versione dell’islam molto conservatrice, operata soprattutto dai predicatori provenienti dalle monarchie del Golfo che usano questa versione di Islam per legittimare il loro potere assoluto.
Aldilà degli scontri in cui gli accademici si dividono su giornali e talk show, l’opinione più diffusa nella comunità scientifica è che nessuna di queste spiegazioni escluda necessariamente l’altra e che ognuna serva a spiegare un aspetto diverso di un fenomeno estremamente complesso. Alla fine, quel che si chiede a una teoria di questo tipo è la capacità di prevedere come un certo fenomeno si svilupperà in certe condizioni. Forse la teoria di McCants e Meserole non è perfettamente corretta, ma di certo il loro studio è in grado di fare previsioni. I due decisero di pubblicare la loro ricerca lo scorso marzo, dopo gli attentanti di Bruxelles, perché nel giro di pochi mesi erano stati colpiti uno dopo l’altro Francia, Belgio e Tunisia, i paesi in testa alla loro classifica. Probabilmente, i due ricercatori sono stati amaramente soddisfatti dagli avvenimenti delle ultime settimane. La Germania, dove nel giro di pochi giorni sono avvenuti diversi attacchi da parte di «lupi solitari» che si identificavano con l’ISIS, è il prossimo paese europeo nella loro classifica.