Corriere della Sera, 1 agosto 2016
St. Moritz senza splendore. Così la vide Montale nel ’49
È difficile far comprendere a un giovane dell’ultima generazione che cosa sia stata St. Moritz, e in genere l’Engadina, per gli uomini di cultura che li hanno preceduti di venti, di trent’anni.
Siamo qui in una delle capitali di un regno che sta tramontando: un regno che ha avuto i suoi dignitari in alto e in basso, in Nietzsche e in Segantini non meno che nei personaggi cari alla Serao e a Luciano Zuccoli (...).
St. Moritz era in origine un piccolo borgo ladino e ancora oggi il romancio è la lingua che s’impara per prima nelle scuole elementari engadinesi. Ora è una cittadina di circa duemilacinquecento abitanti, nell’ultimo decennio piuttosto diminuiti che aumentati. Una splendida cittadina che può contenere venti, trentamila persone e che offre ogni svago, ogni sport, nella doppia stagione estiva e invernale.
Il guaio è che dietro il mondo che frequentava St. Moritz c’era appunto una concezione della vita, una Weltanschauung (riflesso senza dubbio d’una situazione economica), che oggi sta scomparendo; e ormai questo impareggiabile borgo engadinese, se non manca di clienti occasionali, viene a mancare dei suoi clienti più tipici e più naturali: coloro per i quali l’Engadina era soprattutto un fatto spirituale. Erano clienti ricchi, naturalmente; ma ricchi non soltanto di quattrini. Gli uomini, tanto per intenderci, e le donne che incontriamo nel diario di Maria Bashkirtseff e nei romanzi di Henry James e del suo seguace Maurice Baring. Mondo prebellico che ha fatto un ultimo tentativo di ricomparsa negli anni che vanno dal ‘27 al ‘30 e che poi si è dissolto dopo i cracks di Wall Street e dopo l’avvento dei vari totalitarismi (...).
Malinconici camerieri Chi faccia in una di queste mattine il giro del lago di St. Moritz incontra un po’ dovunque camerieri e maître d’hôtel in marsina che passeggiano malinconicamente evocando i tempi eroici dei grandi clienti (Morgan junior, i Rothschild) e dei grandi cuochi (Escoffier, Mazzetti); tempi in cui il semplice «coperto» in uno dei grandi alberghi (i big live di qui) costava varie decine di franchi e si sturavano in quantità bottiglie di sciampagna a settanta franchi l’una. Tempi tramontati forse per sempre.
Tracce di nostalgia Chi sono, oggi, gli ospiti di St. Moritz? Il cinquanta per cento della clientela è svizzera, ma è una clientela di passaggio che non porta grande lustro e molti quattrini agli alberghi più costosi (...). Resta fedele una parte della clientela inglese, nei limiti valutari assai ristretti imposti oggi dal governo laborista a chi vuol viaggiare per semplice scopo di piacere. Ma è dubbio che si formi una clientela nuova. Chi viene in Engadina ci è venuto col padre, ha contratto in famiglia la malattia della Svizzera come molti altri contraevano, una volta, la malattia dell’Italia; chi viene qui appartiene ancora in qualche modo al vecchio mondo. Ci sono, in inverno, imbattibili campioni di skeleton che si buttano a tuffo, ventre a terra, alla velocità di oltre cento chilometri all’ora; ma finita la prova si rivelano per quel che sono: uomini di cinquanta, di sessanta anni, che passano il resto della giornata tra un cocktail e un altro, stringendo mani, ripetendo meccanicamente how do you do, uomini incartapecoriti che manderanno qui i loro figli se ne hanno (ma è molto dubbio) e che tuttavia non bastano da soli a salvare dal progressivo isolamento, rarefazione gli splendidi palaces che vanno dal Maloia a Pontresina (...).
Qualcuno è ancora chiuso, altri aprono i battenti con due o tre clienti appena. Non manca e non mancherà in piena estate la gente di passaggio, ma a quanto si può prevedere solo una distensione nelle condizioni della vita internazionale, solo un ritorno abbastanza lungo e durevole al mito e alla realtà della prosperity potrebbero permettere la formazione di una società in cui «l’aria dell’Engadina» entri come una componente necessaria.