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 2016  agosto 01 Lunedì calendario

«Ero lì per fare il mio lavoro, ma anch’io ho avuto il cancro». L’abbraccio tra un poliziotto e una manifestante per i diritti dei malati dell’Ilva

«Non vorrei che fosse stato frainteso il mio gesto, quell’abbraccio. Io ero lì per fare il mio dovere di poliziotto, garantire la libertà di manifestazione». Una trentina di secondi, niente di più. L’incrocio tra due vite in qualche modo simili, parallele. Segnate dalla malattia. Antonio, 50 anni, due figli ancora adolescenti, vicesovrintendente del reparto mobile della Polizia: quello che una volta avremmo definito «celerino». Elena, 54, due ragazzi più grandi, di 29 e 28 anni, volontaria in associazioni cattoliche, giornalista in un settimanale diocesano che si chiama Nuovo dialogo.
Le foto del loro abbraccio di sabato in piazza Garibaldi, a Taranto, in attesa della visita del premier Renzi, sono diventate virali. Rilanciate dal profilo Facebook ufficiale della Polizia (quello dell’«Agente Lisa»), condivise sui social, twittate.
Antonio è un poliziotto massiccio, dall’aria schiva. Pugliese, agente da quando aveva vent’anni, un incarico a Roma alla Criminalpol, in una squadra investigativa. Poi l’incontro con la compagna, la possibilità di avvicinarsi a casa. Cambiando però reparto: non più le indagini, ma l’ordine pubblico sempre sulla strada, i cortei, la sorveglianza degli ultrà. E manifestazioni come quella di sabato.
Racconta adesso l’agente: «Mi auguro che nessuno possa strumentalizzare il mio gesto, non ho voluto esprimere la mia adesione a quel sit-in». Poco prima c’erano stati momenti di tensione, qualche spintone, insulti: i Cobas premevano, il cordone di agenti è riuscito a contenerli. Poi il clima, sono ancora le parole di Antonio, «si è fatto più disteso, sereno».
Elena Modio parlava al megafono, al collo aveva un cartello su cui compariva una scritta con un hashtag: #siamotutti048. Il numero del codice di esenzione per i malati oncologici.
Gli agenti hanno ascoltato la donna: non parlava di sé, raccontava il calvario dei bambini che a Taranto combattono il tumore. Tanti, senza strutture ospedaliere specialistiche. Sotto i caschi blu gli occhi si sono arrossati. «Non pensavo fosse visibile la mia commozione» dice l’agente a bassa voce. Elena gli si è avvicinata, lo ha abbracciato, gesto per il quale «sono rimasto sorpreso». Lui ha ricambiato, stringendola a sua volta, tra vicinanza e sobria cortesia.
Ma il frame di un filmato lo mostra mentre gira lo sguardo serrando le labbra, evitando che scendano lacrime. Poi la congeda con una pacca sulle spalle, cameratesca. Prima delle parole ascoltate nel video, c’è stato questo dialogo. «Perché ha la 048?» chiede il vicesovrintendente. «Per mio figlio». «Ci sono passato anche io. Ho subìto un trapianto. Ora è tutto finito». «Mi fa piacere per lei».
Antonio si è ammalato nel 1999: un linfoma. Chemio pesantissima. Lui si limita a dire: «Mi sento un miracolato, ne sono uscito grazie all’affetto della famiglia e dei colleghi. Ora sono tornato a un ruolo pienamente operativo».
Ripete, ora che quelle immagini hanno fatto il giro d’Italia: «Non vorrei che fosse fatta confusione attorno a quell’abbraccio. Lo considero un momento di forte empatia: io ero lì solo per svolgere il compito per cui sono preparato e addestrato, per fare il mio dovere di poliziotto».