La Stampa, 30 luglio 2016
Niki Lauda quarant’anni dopo il terribile incidente
C’era una volta in Germania: il primo agosto del 1976, durante il Gran premio del Nürburgring, Niki Lauda andava a sbattere e la sua Ferrari si incendiava. Di quell’incidente il pilota austriaco porta i segni sul volto, il rammarico di un campionato perso e il rimorso di un «grazie» non detto a chi l’aveva salvato. Oggi Lauda è presidente onorario di Mercedes Motorsport e in questi giorni è a Hockenheim, la cittadina che domani ospiterà il Gp tedesco.
Sono trascorsi 40 anni. Lauda, che cosa le è rimasto dentro di quei momenti terribili?
«Nulla. Il cervello di un pilota di Formula 1 è diverso da quello di una persona normale: non restano tracce di un incidente, neanche se è quasi mortale. Mi chiede se ho superato il ricordo di 40 anni fa, mentre io l’ho dimenticato già 42 giorni dopo. La paura, il pericolo, scivola via tutto appena torni al volante. È un attimo. Le persone che non riescono a superare subito il problema se lo portano dietro per il resto della vita e tremeranno appena vedono una macchina normale. Un pilota non trema. O risolve e torna in pista oppure si ritira. Io mi sono rimesso al volante appena ho recuperato».
Quanto fu traumatico il rientro nel Gran premio di Monza?
«Il venerdì in prova feci delle cavolate perché riaffiorava la paura. Mi chiesi che cosa stava succedendo: se stai calmo puoi guidare, altrimenti commetti errori in serie. C’era troppa pressione».
Nessuno tentò di fermarla?
«Sì, i medici di Monza. Alla vigilia fui sottoposto a tre ore di test e controlli. Non ne capivo il motivo, visto che ero già stato visitato nei giorni precedenti e avevo girato senza problemi sulla pista della Ferrari a Fiorano. Sentivo salire la tensione e perdevo tranquillità. Ero così preso dai miei problemi che commisi l’errore più grande della mia vita: mi dimenticai di andare a ringraziare Merzario (il pilota italiano era stato tra i primi a soccorrere Lauda avvolto dalle fiamme, ndr)».
Qualifica e gara andarono molto meglio: che cosa scatta in quei casi nella mente di un pilota?
«All’inizio mi rendevo conto che non funzionava, ma avevo grande stima in me stesso. In qualifica riuscii finalmente a guidare senza tensione e senza preoccuparmi dei tempi degli avversari. Riuscivo a controllare la macchina e terminai la gara al quarto posto. Ero tornato il pilota che conoscevo».
Il Niki Lauda di prima dell’incidente si sarebbe ritirato in Giappone nella gara che decideva il Mondiale?
«L’incidente non c’entra. La mia reazione fu semplice: veniva giù una pioggia da non credere e non si poteva correre, eravamo tutti d’accordo. Ci fu una serie di rinvii, finché il direttore della corsa alle 5 annunciò che si cominciava. Gli chiesi il motivo. “Perché l’hanno deciso le tv”, mi rispose. Era il primo Gp trasmesso in mondovisione. “Dobbiamo correre questo Gp”, insisteva. Ma quella c...o di pioggia non era diminuita e il pericolo era sempre lo stesso. Gli dissi “fottiti”. Feci un giro e mi fermai. Secondo me era stupido andare avanti. Non era una questione di paura, mancavano le condizioni, tutto qua».
Fu comunque una decisione che le costò il titolo.
«Forse è così per lei. Io non ho perso il Mondiale per un punto in Giappone, ma per un incidente in cui ho rischiato la vita e che mi ha fatto perdere tre gare».
Alla fine ha saputo quale fu la causa dell’uscita di pista?
«No. Erano stati montati dei nuovi coprimozzo in magnesio, ma nessuno ha mai capito se fu la loro rottura a farmi perdere il controllo della macchina. O per lo meno nessuno me lo ha mai detto».
Preferisce la Formula 1 di allora o quella un po’ artificiale di oggi?
«Non c’è confronto. Se corressi oggi sarei molto più ricco. E avrei ancora il mio orecchio».