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 2016  luglio 29 Venerdì calendario

Sulle Dichiarazioni islamiche dei diritti dell’uomo

La Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo, proclamata il 19 settembre 1981 presso l’Unesco a Parigi, è la versione islamica della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Si era resa necessaria per il fatto che la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo non è compatibile con la concezione della persona e della comunità che ha l’Islam. Ha valenza universale oppure solo nei Paesi islamici? Se è universale, è un bel problema per gli stati laici occidentali!
Luigi Minet

Caro Minet,
La dichiarazione firmata all’Unesco di Parigi nel settembre 1981 non è il solo documento islamico sui diritti dell’uomo. Esiste anche la «Dichiarazione del Cairo sui diritti umani dell’Islam», approvata al termine di una Conferenza islamica dei ministri degli Esteri nel 1990. Entrambi i documenti sono post-coloniali e rivendicano per i Paesi musulmani il diritto di essere considerati membri di una grande comunità, di una grande storia e di una grande cultura. In un mondo apparentemente dominato da valori giudeo-cristiani, i musulmani, dopo la lunga esperienza coloniale di quasi tutti i loro Paesi, volevano manifestare la propria presenza.
Fra le due dichiarazioni esiste qualche interessante differenza. La seconda non cita la prima e sembra in questo modo proclamare implicitamente la propria superiorità. Entrambe citano la sharia, ma la prima con maggiore frequenza, mentre la seconda sembra sbarazzarsi del problema con una sbrigativa clausola formale, alla fine del testo, in cui è detto: «La Sharia islamica è la sola fonte di riferimento per l’interpretazione di qualsiasi articolo di questa dichiarazione». Sul ruolo della donna nella società musulmana il linguaggio è diverso. La prima dichiarazione cita il Corano dove è scritto che «le donne hanno dei diritti pari ai loro obblighi, secondo le buone convenienze. E gli uomini hanno tuttavia una certa supremazia su di loro». Mentre la seconda, all’art. 6, dice: «La donna è uguale all’uomo in dignità umana e ha diritti da godere e obblighi da adempire; essa ha la propria dignità e indipendenza finanziaria e il diritto di mantenere il proprio nome e la propria identità».
Sul tema del proselitismo e della conversione, i due testi giungono con parole diverse alla stessa conclusione. La prima, all’art. 8, dice: «Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in pr ivato, la p ropria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti». La seconda, all’art. 10, dice: «L’Islam è una religione intrinsecamente connaturata all’essere umano. È proibito esercitare qualsiasi forma di violenza sull’uomo o di sfruttare la sua povertà o ignoranza al fine di convertirlo a un’altra religione o all’ateismo».
Naturalmente, caro Minet, le Dichiarazioni sui diritti umani non sono codici legislativi. Sono nobili grida indirizzate ai popoli e ai governi nella speranza che leggi e comportamenti siano conformi ai principi che le hanno ispirate. Il Paese che in questa materia non ha mai peccato di negligenza, scagli la prima pietra.