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 2016  luglio 29 Venerdì calendario

Gli Anni ’80 sono un business da 687 miliardi

Grandi catene americane dove si fa shopping con la musica di Madonna e Depeche Mode in sottofondo, campagne di comunicazione sui social network dalle tinte fluo di certi cartoni animati piovuti qui dal Giappone, una sfilza di prodotti – dalle sneakers Diadora agli zaini Invicta – che catapultano dritti verso gli Anni Ottanta. È come se sulle vetrine e sui siti di commercio elettronico fosse stato applicato un filtro Instagram: nel 2016 tutto ha i colori di 30 anni fa.
Si chiama effetto nostalgia, la più potente leva di marketing in circolazione. In un mondo che cresce alla moviola andare a caccia di nuovi clienti è sempre più complicato, spiega un report di Euromonitor che ha fatto scuola tra gli esperti di consumi, e allora si punta a mettere in moto le emozioni di chi è in grado di spendere: in questo momento i nati tra la seconda metà degli Anni 60 e la prima dei 70. Nel nostro Paese – certifica l’Istat – sono la generazione più numerosa: 9,7 milioni. Per i pubblicitari, dunque, un boccone perfetto, perché la maggior parte di loro ha dribblato il precariato, entrando in azienda o aprendo uno studio professionale quando ancora non s’era scatenata la furia della crisi. Sono riusciti pure ad accumulare qualche scorta e hanno imparato presto ad aprire il portafoglio: fino alla metà del 2000, dicono i dati di Bankitalia, gli stipendi dei trentacinquenni tendevano verso l’alto e marciavano appaiati con quelli della generazione precedente. Dopo, per i giovani, è stata una discesa continua. Anche se il retro-marketing non disdegna i «millennials», figli dei primissimi Anni 80, pure loro in coda per prenotare via Amazon la Nes, nuova, vecchissima, console firmata Nintendo, illusi che assieme alla scatola grigia con i giochi già installati – da Super Mario a Zelda – si possano comprare certi pomeriggi passati in cameretta assieme a fratelli e amici.
È a questo esercito di «nostalgici 2.0» che si rivolge la serie culto dell’estate «Stranger Things», prodotta e trasmessa da Netflix: ambientazioni, personaggi, colonna sonora e certi dettagli sparano dritti nel passato, ma la trama e le svolte narrative sono disegnate su misura per il pubblico delle televisioni on-demand. La chiave sta lì: atmosfere retrò, tecnologie all’avanguardia. Come spiegare, altrimenti, la scelta di Spotify, il servizio che ha terremotato il business della musica digitale e per gli spot s’è affidato alle icone della «Storia infinita», Atreyu e Falkor? Mentre la Polaroid, tornata in vita, è un piccolo gioiello tech. Parlano la stessa lingua la K-way di nuovo trendy, certe etichette discografiche che trasformano gli mp3 in musicassette, i «Ghostbusters» nuovamente al cinema, le Adidas Gazelle alla prova dell’ennesimo rilancio che campeggiano in cima alla home page di Zalando.
«Gli Anni 80 sono stati spensierati e hanno avuto la funzione di superare i faticosi Anni 70. Oggi siamo in una fase analoga, dopo la grande recessione e le crisi, il nostro sistema immunitario ci induce a rivolgerci alla leggerezza. Le grandi imprese lo sanno e ne approfittano. Infatti ci aspettiamo nel breve un ritorno di marchi rimasti in naftalina pronti ad essere rilanciati dalle multinazionali o da bravi imprenditori», dice Massimo Pizzo, managing director di Brand Finance, la società di consulenza che traccia il valore delle aziende globali.
Sotto il brand «Anni 80» – spiega – c’è un tesoro: il marchio Apple – nata nel 1976 ma esplosa nel decennio successivo – vale 146 miliardi di dollari. Microsoft, stessa traiettoria, almeno 56 miliardi. Calcolando che i marchi associabili a quel periodo sono una cinquantina, si scopre che il valore totale ammonta a 687 miliardi. Tanti parlano italiano: «L’esempio più eclatante è Moncler – dice Pizzo – ma anche Versace e Armani». Qui però si sconfina nel lusso, mentre il retro-marketing, per forza di cose, si rivolge a un pubblico più vasto. Lo stesso intercettato 30 anni fa da campagne rimaste nella storia. «Allora si poteva sperimentare, nella pubblicità e nel design», racconta Enrico Pedretti, esperto di marketing, che ha attraversato quel decennio e oggi è il responsabile della comunicazione di Manager Italia. «Oggi tutto cambia rapidamente, i clienti sono sempre meno fedeli e si tenta di ancorarli a qualcosa di solido, che rassicura».
E il trend, dice Euromonitor, «continuerà finché l’economia non uscirà dallo stallo». A guardare il nostro Pil, è facile prevedere che ascolteremo Smiths e Duran Duran ancora per un bel po’.