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 2016  luglio 29 Venerdì calendario

Mediaset ha deciso di fare causa a Vivendi

Mediaset passa al contrattacco. Il consiglio riunito ieri a Cologno per approvare i conti semestrali ha ritenuto «irricevibile» la nuova proposta di Vivendi per Mediaset Premium, che è stata quindi rispedita al mittente insieme all’intimazione a dare esecuzione al contratto già firmato, pena il ricorso in sede civile «ed eventualmente anche penale».
Che i francesi decidano di tornare sui propri passi è improbabile. La stessa Mediaset nella nota allegata ai conti semestrali ha ritenuto che sia venuta meno per Mediaset Premium «l’elevata probabilità di realizzare l’operazione entro dodici mesi» e per questo la pay-tv è stata ricompresa tra le attività in funzionamento e non più tra quelle in via di dismissione. «Noi siamo disponibili ad aver colloqui con Vivendi, ma il valore del contratto non può essere cambiato o perlomeno può essere cambiato solo in una direzione, non può essere ridotto», ha detto ieri il cfo di Mediaset, Marco Giordani.
La parola, dunque, passa adesso ai legali. E la risposta a Vivendi sarà dura. Oltre che in sede civile il Biscione sta anche valutando il ricorso in sede penale, con richiesta di danni e l’eventuale sequestro cautelativo dei titoli Vivendi. La quale a stretto giro ha fatto sapere che sta valutando a sua volta di denunciare Mediaset per diffamazione in quanto, ha spiegato un portavoce, le dichiarazioni del gruppo italiano hanno «intaccato la notorietà e l’immagine di Vivendi».
Un esito del genere era inimmaginabile quando Cologno e Vivendi ad aprile hanno annunciato l’alleanza con l’obiettivo di creare un player europeo nella pay-tv. Ieri sono arrivati i numeri di Premium, che confermano quanto già si sapeva: pareggio nel 2017 e utile nel 2018. I risultati semestrali sono però migliori delle attese: nell’ultimo trimestre di quest’anno il rosso è stato di 37,1 milioni rispetto a una stima di 39,8 milioni, e in quello precedente 63,7 milioni contro i 65,8 attesi. Le previsioni sono contenute nel piano triennale giudicato «ottimistico» da Deloitte e contestato da Vincent Bolloré con la richiesta di rivedere gli accordi.
Più in generale, i conti semestrali di Mediaset approvati ieri hanno evidenziato un aumento dei ricavi a quota 1,87 miliardi, di cui 1,34 miliardi in Italia e 521 in Spagna. La raccolta pubblicitaria è salita del 3,7% nei primi sei mesi, arrivando a 1,04 miliardi, con un aumento del 4,6% nel secondo semestre. In calo il risultato operativo, pari a 97 milioni, e il risultato netto, in rosso per 27 milioni.

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Serve l’abilità di un funambolo per riuscire a tenere ancora unito il filo tra Parigi e Cologno Monzese ed evitare che il duello tra Mediaset e Vivendi sfoci in una guerra. Lo «strappo» arriverà in Tribunale, non c’è dubbio. Il consiglio del Biscione è obbligato a denunciare la mancata esecuzione del contratto su Mediaset Premium da parte di Vivendi, a tutela dell’azienda e dello stesso board che al contrario potrebbe rischiare l’azione di responsabilità. Ma non è certo per un motivo formale che a Cologno stanno preparando le carte per il ricorso, in sede civile e penale. L’irritazione è forte, più per le modalità con cui Vincent Bolloré ha cambiato le carte in tavola che per la richiesta di rivedere gli accordi.
Ma non è una guerra giudiziaria che vogliono i contendenti. Per questo, sebbene sottile e sfilacciato, il filo del dialogo è ancora unito e un accordo rimane possibile. A condizione, però, che venga data esecuzione al contratto di aprile. Che è vincolante e non permette scappatoie. Poi si può pensare a modificarlo, ma a condizione che restino invariati i cardini: il valore economico e la valenza industriale dell’alleanza, suggellata dallo scambio del 3,5% del capitale tra Mediaset e Vivendi.
Criteri che però la nuova proposta arrivata lunedì da Parigi non rispetta. Ma, a quanto pare, l’offerta di rilevare solo il 20% di Premium e di affiancare Fininvest nel controllo di Mediaset, era in una scelta obbligata per Bolloré, dopo che la verifica effettuata ex post da Deloitte aveva sollevato dubbi sul valore di Premium. A fronte di un impairment test sarebbe stato necessario svalutare la pay-tv del Biscione. E Bolloré non può permetterselo. Lo avrebbe anche fatto presente a Pier Silvio Berlusconi giovedì scorso, quando si sono incontrati, spiazzando il vicepresidente di Mediaset e provocando la dura reazione della famiglia Berlusconi.
Bolloré è presidente del consiglio di sorveglianza di Vivendi e socio con il 15%. Non è il padrone e nel capitale del gruppo francese i fondi internazionali, inclusi gli attivisti, hanno un peso importante. Dopo la previsioni di 400 milioni di perdite per Canal+ nel 2016, lo stop dell’Antitrust all’accordo con BeIn Sports, il canale sportivo di Al Jazeera che avrebbe portato in dote importanti diritti sul calcio, e la perdita potenziale di 1,6 miliardi accumulata su Telecom, una svalutazione di Premium avrebbe rischiato di mettere in discussione la strategia di Bolloré. E di scatenare un attacco degli attivisti, che conoscendo anche i legami tra la famiglia Berlusconi e il finanziere bretone — presenti in Mediobanca — e la vicinanza di entrambi a Tarak ben Ammar (consigliere dei Piazzetta Cuccia, di Vivendi e socio in passato di Berlusconi in molte iniziative), avrebbero avuto gioco facile nel contestare a Bolloré di aver fatto un favore all’amico. La pressione sarebbe uno dei motivi che ha indotto a firmare un accordo vincolante, salvo fare dopo le verifiche.
La strada per ricostruire il progetto è in salita, non c’è dubbio. Ma si può fare. Mediaset non avrebbe convenienza a rompere con il primo azionista di Telecom Italia, considerando quanto è importante la banda larga per lo sviluppo della pay-tv. E a Parigi sono disposti a ragionare su tutte le opzioni pur di non far saltare il deal. Ma più del 20% di Premium subito, Vivendi non può prendere, altrimenti dovrebbe consolidarla. Il bond potrebbe per esempio essere rimborsato girando a Vivendi tutta Premium tra due o tre anni, o riconoscendo una quota di capitale inferiore al 15% previsto dalla nuova offerta.
Insomma un accordo si può ricostruire. I «pontieri» sono al lavoro. Ma prima va onorato il contratto e superata la forte irritazione della famiglia Berlusconi. La lettera di Marina (pubblicata nella pagina precedente) e le parole di Pier Silvio non lasciano molto spazio alle interpretazioni. La strada adesso è davvero tutta in salita.