Corriere della Sera, 28 luglio 2016
Trump ha chiesto pubblicamente alla Russia di rubare le mail di Hillary e di renderle pubbliche
FILADELFIA (Pennsylvania) I venti di intrigo internazionale che da giorni spirano attorno alla convention democratica di Filadelfia diventano bufera: citando i rapporti degli esperti, per la prima volta è lo stesso Barack Obama ad accusare la Russia di essere dietro il furto digitale di 20 mila email della Dnc, l’organizzazione del Partito democratico. Il presidente non arriva a sostenere direttamente che Vladimir Putin è il regista di un tentativo di interferenza nelle elezioni Usa con l’obiettivo di favorire Donald Trump, ma nota che il Cremlino sicuramente trarrebbe vantaggi dall’elezione del candidato repubblicano. Il tycoon populista si presta al gioco o ne è parte? «Non ho elementi diretti. Ma vedo che Trump continua a esprimere ammirazione per Putin».
Trump replica col suo solito stile: nega, si contraddice, cerca la frase a effetto. Dopo aver definito nei giorni scorsi le accuse a Mosca «inverosimili e ridicole», ora riconosce che l’infiltrazione informatica potrebbe avere davvero origini russe. Ma poi tira in ballo anche la Cina e definisce la ricerca dei responsabili fumo negli occhi per distrarre dalla sostanza dei messaggi (la partigianeria dei funzionari democratici in chiave anti Sanders). Anche sui rapporti con Putin, per il quale in passato aveva espresso simpatia dicendo di avere una buona conoscenza del personaggio, «The Donald» adesso frena: «Non l’ho mai visto, non lo conosco. So solo che è un leader migliore di Obama, ma questo lo sanno tutti».
Abituato a spararle grosse senza mai pagare pegno, Trump collega disinvoltamente Mosca ad altre email: quelle scambiate da Hillary Clinton quando era segretario di Stato e poi trasferite su un suo «server privato». Un caso diventato scandalo che ha danneggiato non poco l’immagine della ex first lady. Il candidato populista provoca in modo plateale: «Russia, se mi ascolti cerca di trovare anche quelle 33 mila email della Clinton che sono sparite. I “media” americani te ne saranno grati».
Pensa sia una delle sue solite spiritosaggini: l’intrigo internazionale che diventa farsa. Non si rende conto che sta toccando uno dei nodi più delicati della politica estera e della sicurezza americana. La conferenza stampa in Florida nella quale ha fatto queste affermazioni è appena finita e già si fa sentire il leader dei repubblicani al Congresso, Paul Ryan, attraverso il suo portavoce: «La Russia è una minaccia globale, un Paese guidato da un teppista pericoloso. Va assolutamente tenuta fuori dal nostro processo elettorale». Molti altri esponenti conservatori scendono in campo dicendosi allarmati per l’interferenza russa nella politica degli Stati Uniti. Poco dopo alle loro voci si unisce anche quella del candidato repubblicano alla vicepresidenza Mike Pence, chiaramente un pesce fuor d’acqua nell’universo trumpiano: «Deve essere chiaro che se il coinvolgimento russo in questa vicenda verrà provato, la cosa avrà gravi conseguenze» nei rapporti internazionali.
Obama ne approfitta per un affondo sull’ignoranza di Trump in politica estera, sul suo «bullismo dialettico»: «Lasciate perdere per un attimo la questione dei codici nucleari nelle sue mani. Il principale problema è che lui non sa di affari internazionali e non ha alcun interesse a imparare».
I critici del presidente fanno notare che anche gli Stati Uniti spiano gli altri Paesi: organizzazioni governative e non. E lo fanno in modo massiccio. La «cyberwar» ormai è una realtà riconosciuta da tutti, ma la sua applicazione al processo elettorale di una grande democrazia rappresenta un salto di qualità grave, senza precedenti. Grave ma non del tutto sorprendente. Quello che sta avvenendo appare in linea con la «dottrina Gerasimov»: il generale russo che tre anni fa teorizzò un cambiamento dei canoni della guerra nell’era digitale. Meno tank e cannoni, più manipolazioni dell’opinione pubblica e disinformazione anche quando non c’è un conflitto dichiarato ma si è in un’area grigia tra guerra e pace.
Teoria russa, ma a Mosca sostengono che a cominciare sino stati altri («manine» americane?), con le primavere arabe e le rivolte «arancioni» nell’Est Europa. Come dire: chi è senza peccato...