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 2016  luglio 28 Giovedì calendario

Come la giustizia francese si è lasciata sfuggire i due jihadisti di Rouen

Per la terza volta in diciotto mesi la Francia ricostruisce i fatti che l’hanno ferita e torna a farsi le stesse domande: a Parigi, Bataclan, e poi a Nizza, Promenade des Anglais, e poi a Saint-Etienne-du-Rouvray, chiesa di santo Stefano, si poteva evitare? Si poteva fare di più e meglio? E l’apparato repressivo dello Stato ha funzionato? E ancora, le norme in materia di sicurezza e terrorismo sono sufficienti, e soprattutto, sono efficaci? Non c’è una risposta assoluta per queste domande. Al contrario, tutte le risposte non sono immuni da «falle», proprio come le falle che ognuno di questi fatti tragici ha immancabilmente evidenziato. Immancabilmente, per due motivi. Il primo, è che sarebbe stato molto difficile, per non dire impossibile, che non vi fossero falle, in questa guerra che è più che «asimmetrica» e in cui, come ha detto Mohammed Karabila, responsabile della comunità musulmana di Saint-Etienne-du-Rouvray, nonché amico personale di padre Jacques Hamel, «il vero luogo della radicalizzazione è la moschea di Google, quella che frequentava Adel Kermichi (uno degli assassini di padre Jacques, ndr)». Il secondo motivo è nelle parole del procuratore di Parigi, François Moulins: «Colpire in ogni momento, in ogni luogo e in tutte le circostanze, questa è la propaganda di Daesh (Isis, ndr) che fa presa in modo particolare sui suoi simpatizzanti. Il suolo francese è diventato il bersaglio privilegiato della organizzazione terroristica Daesh». E allora, proprio partendo da qui cerchiamo, attraverso una ricostruzione dell’ultima tragedia del 25 luglio e i suoi sviluppi (o almeno, quelli fin qui noti), di rispondere alle domande che angosciano non solo la Francia, ma il mondo intero.
Perché Adel Kermichi è stato scarcerato?
Adel, 19 anni, era da poco più di un anno che simpatizzava per l’Isis. E infatti, aderisce alla causa e subito vuole andare al fronte, in Siria. L’anno scorso ci prova due volte, e due volte viene arrestato. Prima a Monaco di Baviera e poi a Ginevra, dove arriva in seguito al respingimento alla frontiera da parte della Turchia. Da Ginevra, Adel viene estradato in Francia e rinchiuso nel carcere di Champ Dollon. Fino a quel momento, non ha commesso alcun reato, ma poiché è un potenziale terrorista viene schedato con la lettera «S», il massimo della pericolosità. In carcere, trascorre dieci mesi. Poi, il 18 maggio scorso, il giudice ne decide la scarcerazione, sia perché i termini di detenzione preventiva stanno per scadere, sia perché Adel «mostra di essersi pentito» e, dopo tutti quei mesi in carcere, «potrebbe essere pericoloso per se stesso» (cioè, viene ritenuto a rischio suicidio). La procura ricorre contro la decisione del giudice, ma altri giudici valutano il caso e respingono il ricorso dell’accusa. Adel può uscire, ma con un braccialetto elettronico che ne controlli i movimenti durante le ore di libertà (dalle 8.30 alle 12.30) e con l’impegno della famiglia a farlo seguire da uno psicologo, poiché, ecco l’altra novità, Adel è dall’età di sei anni che mostra turbe psichiche tali da avere richiesto le cure di psicologi e psichiatri.
Perché era in carcere con altri terroristi?
Adel viene rinchiuso nel carcere di Champ-Dollon, dove, dicono fonti ufficiali, avrebbe condiviso la cella con un saudita e, addirittura, avrebbe conosciuto un altro terrorista vero, non potenziale come lui, che già aveva combattuto con l’Isis e provvede a indottrinarlo e a radicalizzarlo. E sarebbe stato proprio in carcere che Adel avrebbe appreso le regole della «taqiya», la dissimulazione, per confondersi con i «miscredenti» e per colpirli meglio. Non gli viene spiegato che tutte le religioni monoteiste che ammettono questa «mimetizzazione» lo fanno nei casi di necessità o di forza maggiore, per esempio per salvarsi la vita o nei casi di conversione forzata. Ad Adel il concetto viene messo in testa ribaltato, come vuole l’Isis: bisogna che si mostri un miscredente come gli altri, ma non per salvare se stesso da un rischio ingiusto, bensì per colpire, per uccidere, per combattere meglio per la causa di Daesh.
I due assassini potevano essere fermati in tempo?
Quando Adel esce dal carcere, per prima cosa si dà al proselitismo. Con chi? Con un suo coetaneo, Abdel Halik, 19 anni anch’egli, originario della Savoia, cioè, rispetto alla Normandia in cui vive Adel, dalla parte opposta della Francia. Abdel Halik è incensurato, ma «noto agli inquirenti», anche se non viene specificato per che cosa esattamente fosse «noto», se per fatti legati in qualche modo al terrorismo o per altri reati. Fatto sta che Abdel segue Adel, tanto da lasciare a casa sua la propria carta di identità (è a partire da questo ritrovamento che gli investigatori hanno identificato Abdel), ma, soprattutto, al punto da condividere con lui il «giuramento di fedeltà» all’Isis, pronunciato in arabo e filmato (il video è stato diffuso ieri sera) probabilmente proprio a casa di Abdel. Casa che è in un quartiere tranquillo, di villette che potremmo definire signorili, di una cittadina tranquilla. Nessuno, onestamente, avrebbe potuto pensare «prima», che lì dentro stava germinando una cellula terroristica dell’Isis.
La chiesa doveva essere sorvegliata?
La chiesa di santo Stefano, in cui i due soldati dell’Isis, malati o incensurati che fossero, hanno sgozzato padre Jacques Hamel, non era sorvegliata. Nemmeno un vigile urbano che la tenesse d’occhio. Diversamente dalla parrocchia di santa Teresa, che dalla chiesa del massacro dista una mezz’oretta a piedi e gode di una certa sorveglianza perché lì accanto c’è il centro musulmano, e quindi la moschea, considerato obiettivo sensibile. Magari non proprio come la Grande Moschea di Parigi, circondata da soldati mitra in pugno a tutte le ore, ma certamente non trascurata. Era santa Teresa la chiesa di padre Jacques, ma lui, «per dare una mano», andava a celebrare Messa anche a santo Stefano. E lì, i due «coglioni» militanti dell’Isis, come li definiscono con disprezzo a Saint-Etienne-du-Rouvray, hanno avuto gioco facile. Certo, si sarebbe potuto fare meglio e di più. Come sempre. Ma pretendere di poter individuare gli «autori probabili» dei crimini, come dice Nikolas Sarkozy, è un’altra cosa. Anzi, un altro film: «Minority Report», in cui si punisce il pre-crimine.