Il Messaggero, 27 luglio 2016
Diciotto anni alla ragazzina che aiutò il fidanzato a uccidere la mamma e il papà. Era il 7 novembre 2015
Diciotto anni di carcere e un pianto disperato. Non ci saranno scorciatoie nel percorso di riabilitazione della figlia di Fabio Giacconi e Roberta Pierini per aver concorso con l’ex boyfriend Antonio Tagliata nel duplice omicidio dei genitori. C’è un primo punto di arrivo per la vicenda giudiziaria dei fidanzatini diabolici di Ancona. La sentenza pronunciata dal Gup di Ancona Francesca Giaquinto ha concesso lo sconto di un terzo previsto dal rito abbreviato ma non è andata oltre. Letto il dispositivo, la ragazzina è scoppiata in lacrime. Continua a ritenersi innocente, vittima di un disegno maligno del suo ex. Le credono i nonni, gli zii e i cugini, che le stringevano la mano mentre veniva pronunciata la sentenza. Ma per il giudice, la 16enne è un soggetto pericoloso e voleva la morte dei genitori, solo perché ostacolavano la sua love story con il bell’Antonio. Non fu lei a massacrare papà e mamma, in quel maledetto sabato 7 novembre 2015, né impugnò mai l’arma del delitto. Ma per il collegio giudicante è come se l’avesse fatto: sarebbe stata la 16enne ad istigare il fidanzato Antonio Tagliata, di 3 anni più grande, a puntare la Beretta calibro 9x21 contro il sottufficiale dell’Aeronautica e la moglie. Un’esecuzione mai progettata – tant’è che la Procura sin dall’inizio non ha contestato la premeditazione – ma in qualche modo concertata in fieri, in piena intesa, dal momento in cui i due piccioncini diabolici si sono incontrati alla fermata degli autobus di piazzale Europa, immortalati da una spycam alle 12,47, fino a quando sono saliti in casa, dopo aver confabulato per un po’ nell’atrio della palazzina color ocra di via Crivelli 9. Lì Antonio ha mostrato l’arma e i caricatori alla ragazza che amava al punto da uccidere.
«SPARA! SPARA!»
Lei avrebbe anche accarezzato i proiettili, rendendosi perfettamente conto che si trattava di una pistola vera, non di un giocattolo, come invece ha sempre sostenuto. Dopo qualche minuto sono saliti nell’appartamento all’ultimo piano. La lite con i coniugi Giacconi. Poi il dramma. Spara! Spara!, avrebbe gridato la ragazzina, invitando Antonio ad estrarre la pistola dal giubbotto e ad aprire il fuoco contro i propri genitori. Una versione contestata dall’imputata, ma considerata credibile dal collegio giudicante, presieduto dal Gup Francesca Giaquinto, anche alla luce di alcune intercettazioni ambientali carpite dai carabinieri nel Comando provinciale di via della Montagnola, subito dopo l’arresto. Nel primo colloquio con i familiari il killer, in modo ritenuto genuino e senza condizionamenti, ammette di aver premuto il grilletto «perché è stata lei a dirmelo». E anche nelle successive udienze confermerà questa versione. Il papà si stava avvicinando minacciosamente con una sedia e allora lei mi ha urlato: spara! spara! E io l’ho fatto, poi non ci ho capito più niente, ha riferito Antonio agli inquirenti.
Il Gup ha accolto in pieno, riguardo alla pena principale (18 anni), le sanzioni accessorie e la misura di sicurezza, le richieste del capo della Procura minorile Giovanna Lebboroni. Dopo la requisitoria-fiume di lunedì, durata 6 ore, ieri il verdetto è arrivato alle 19, a margine di un’interminabile camera di consiglio. Una condanna pesantissima. La pena supera di due anni quella inflitta a Erika De Nardo, che insieme al fidanzato Omar Favaro nel 2001 a Novi Ligure sterminò la famiglia, pugnalando a morte la madre e il fratellino di 11 anni.