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 2016  luglio 27 Mercoledì calendario

Nella matematica di Hilbert punti e rette vengono sostituite da tavoli e birre

Il nome di David Hilbert (1862-1943) è familiare a chiunque si interessi di scienza: basti pensare che compare quasi sempre quando si parla di Relatività, essendoci una questione di priorità con Einstein (peraltro senza alcuna recriminazione reciproca) sulle equazioni della Relatività generale, alla fine del 1915; gli «spazi di Hilbert» sono uno strumento essenziale per la meccanica quantistica e altri problemi della fisica moderna, spazi a infinite dimensioni «ove per poco il cor non si spaura». 
Tra i matematici, Hilbert rivaleggia con Henri Poincaré (1854-1912) per essere considerato il più importante matematico dell’età contemporanea. Questi ci ha lasciato i sistemi dinamici e la topologia, ma Hilbert – come racconto nel mio saggio «Tavoli, sedie, boccali di birra. David Hilbert e la matematica del Novecento», Raffaello Cortina Editore – ha impresso la sua impronta su tutto e non si capisce cosa è diventata la matematica se non si conosce tutto quello che ha fatto. Si è dedicato a sorpresa alla fisica matematica dopo il 1900, l’anno in cui, già famoso per aver impostato i concetti fondamentali dell’algebra moderna e aver pubblicato nel 1899 il libro che soppianterà gli «Elementi» di Euclide come testo di riferimento per la geometria (i «Fondamenti della geometria»), aveva presentato al congresso internazionale di Parigi la lista di problemi per il secolo entrante.
Cantor e l’infinito
Göttingen stava diventando per merito suo il centro mondiale della ricerca. La matematica di quegli anni era tuttavia agitata dall’innovazione introdotta da Georg Cantor (1845-1918), lo studio dell’infinito. Eccitati dalla nuova manifestazione della potenza della mente, matematici e filosofi si accorsero presto che era facile trasportando il vecchio modo di pensare ottenere risultati paradossali e contraddittori. Hilbert non poteva accettare che la matematica, non volendo rinunciare al Paradiso aperto da Cantor, fosse oscurata da dubbi e incertezze.
Bisognava trovare una presentazione della matematica o di una teoria generale come quella degli insiemi di cui si potesse affermare con sicurezza la non contraddittorietà. Ma era colpa della logica o della matematica? Alla fine dell’Ottocento questa stava cambiando non solo per l’irruzione dell’infinito, ma per l’uso generalizzato del metodo assiomatico. La teoria d Euclide iniziava con assiomi, ma questi erano considerati veri, nello spazio. Ora gli assiomi di una teoria potevano avere diverse interpretazioni; si generalizzava l’idea di modello matematico, uno schema formale che si applica a diverse situazioni.
Gli assiomi delle geometrie non euclidee si possono trovare nel nostro mondo, cioè nella geometria euclidea, cambiando le interpretazioni dei concetti di base: le rette come cerchi massimi sulla sfera, i punti come coppie di punti antipodali sulla sfera. Hilbert amava dire che i concetti di punto, retta e piano potevano essere sostituiti da «tavoli, sedie, boccali di birra», se tra questi si definivano le necessarie relazioni in modo che gli assiomi diventassero veri. Altri condividevano questa visione e da allora il metodo assiomatico definisce la matematica. 
Le nuove teorie assiomatiche erano interpretate in teorie consolidate dalla storia, ma la teoria degli insiemi era così generale da non poter essere interpretata in altre. Hilbert ebbe un’idea geniale: non riformare la logica, ma usarla solo per tradurre in formule tutti i ragionamenti matematici.
Le dimostrazioni di coerenza non dovevano essere realizzate attraverso la presentazione, impossibile, di un’interpretazione, ma come ragionamenti per induzione sulla lunghezza delle figure dimostrative che rappresentavano le dimostrazioni. Queste potevano essere identificate con successioni strutturate di simboli, che erano manipolati come oggetti, con operazioni matematiche combinatorie analoghe a quelle fisiche, i metodi «finitisti». La prova di coerenza doveva mostrare che non potevano esserci due derivazioni terminanti con conclusioni opposte.
Fuoco d’artificio di idee
Inizia un lavoro di perfezionamento dei calcoli logici, ma anche una guerra aspra, contro avversari che lo accusavano di formalismo, come Luitzen E. J. Brouwer (1861-1966) e Hermann Weyl (1885-1955), che sostenevano, invece, doversi sviluppare una diversa matematica «intuizionista», usando una logica in cui per insiemi infiniti non valesse il principio del terzo escluso, in modo che dal negare una proposizione universale non si potesse ottenere un’affermazione di esistenza. Per tutti gli Anni 20 Hilbert e i suoi collaboratori lavorarono al suo programma, insieme con vivaci polemiche pubbliche, raggiungendo risultati parziali che facevano ben sperare. Poi nel 1930 un giovane neolaureato Kurt Gödel (1907-1972) dimostrò che non era possibile.
Hilbert e Brouwer tuttavia hanno scritto una delle pagine più emozionanti della storia del pensiero, lottando per la loro idea di matematica: un fuoco di artificio di idee e nuovi concetti, teorie e risultati tecnici, un’eredità di conoscenze e di strumenti che hanno cambiato il panorama della logica, della matematica e della filosofia. E godibile non solo da specialisti, perché si rivolgono a tutti i matematici.