La Stampa, 27 luglio 2016
La Raggi dà il bentornato a Manlio Cerroni, il re della monnezza. Quello che fino a poco tempo fa per i Cinque Stelle era «il mafioso» o «l’avvelenatore»
Virginia Raggi, 10 giugno: «Stanno preparando un bel piattino con l’immondizia. Ci vogliono far trovare la bomba ma noi abbiamo un piano per uscire dall’emergenza». Virginia Raggi, 11 giugno: «A Roma il problema rifiuti ha un nome: Cerroni». Due frasi su cui si potrebbe costruire un trattato di psicologia politica. Non tanto per l’estenuante teoria del complotto: bisogna essere maliziosi per prevedere l’imboscata, ma a Roma essere maliziosi male non fa, e il saliscendi di spazzatura nelle strade dimostra che quando le cose vanno male è più facile che vadano peggio. E infatti Raggi si è presa il suo benvenuto, causale o pianificato. Il problema è che all’imboscata, se imboscata è, non era preparata. Non c’era nessun piano, e per uscire dall’emergenza non è rimasto che comporre un numero di telefono: quello di Cerroni.
Fuori dal Raccordo anulare probabilmente nessuno sa chi sia Manlio Cerroni. A novembre farà novant’anni ed è il titolare della più grande discarica d’Europa, quella di Malagrotta. Dal 1975 e per trentotto anni la discarica ha ospitato gli scarti della città, naturalmente non differenziati, e siccome il confine fra legale e illegale è un’opinione – soprattutto in Italia – mentre l’Unione europea dichiarava Malagrotta illegale, il Parlamento la ridichiarava legale con una righina in Finanziaria. Su quella montagna di proroghe e su quella montagna di spazzatura, Cerroni ha fatto montagne di soldi, e questo è soltanto uno degli aspetti biografici che fanno del Supremo (il soprannome è decisivo) un campione da Prima Repubblica (e Seconda). Arrogante il giusto, ruspante il giusto, guida Suv, non frequenta i salotti ma i politici sì, e con qualcuno di loro condivideva in trattoria la passione per la coda alla vaccinara. Due anni e mezzo fa è finito ai domiciliari con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti; poi è stato condannato soltanto per falso in atto pubblico, un anno di reclusione, ma la fama di sommo inquinatore non ne ha risentito. Nell’ultima campagna elettorale – e pure nelle precedenti – dire Cerroni era dire male assoluto, era dire quello che era stato e non doveva essere più, era l’aggettivo qualificativo della peggiore politica, arretrata, consociativa, lassista, vorace. Per i Cinque stelle, in particolare, Cerroni era «il mafioso», era «l’avvelenatore», e che destra e sinistra ci avessero brigato per l’eternità era la prova della generale furfanteria.
Lunedì il nuovo assessore comunale all’Ambiente, Paola Muraro, scortata da attivisti social per la certificazione di purezza in diretta Facebook, ha bruscamente invitato il presidente della nettezza urbana, Daniele Fortini, a «stendere un piano operativo per il ritorno alla normalità». E come? Portando i rifiuti a Rocca Cencia. E che è Rocca Cencia, oltre a toponomastica evocativa? A Rocca Cencia c’è un impianto di trattamento meccanico biologico che appartiene a Cerroni. O forse no, ma non è così importante, nel senso che Cerroni ha affittato il ramo d’azienda a un terzo. E siccome si continua a essere maliziosi, si dice faccia capo a lui. Di certo era suo fino a poco fa, di certo ci guadagna ancora, di certo Rocca Cencia è una specie di pietra angolare della dottrina Cerroni. Infatti il Supremo oggi è un uomo felice e al Tempoha dichiarato: «Come volevasi dimostrare sono costretti a darmi ragione, per l’ennesima volta. Devo scendere ancora in campo per salvare Roma? Eccomi qua». Eccolo qua, nel suo irrimediabile cinismo pratico, così diverso dal delizioso candore di Raggi che, appena eletta, andò a Tor Bella Monaca dove i ragazzini giocavano a contare i topi fra i cassonetti. «Mi raccomando, fate la differenziata», disse con commovente fiducia nella virtù popolare. Intanto il presidente della nettezza urbana si è dimesso: teme (esagerato!) che riapra Malagrotta e comunque con Cerroni non intende spartire nulla. Ora Raggi potrà mettere al suo posto uno meno idealista e più consapevole delle esigenze della realpolitik.
Se davvero era un complotto, è andato meglio di quanto ci si immaginasse: bentornato, Cerroni.