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 2016  luglio 27 Mercoledì calendario

Il fuoco e il fascino della distruzione. Da Faulkner a Via col vento

Chi più insegue il potere e la gloria, chi più sfida la natura o sogna con intensità crescente le proprie insegne su una carta geografica, intrattiene un rapporto privilegiato col rovescio dell’umana fortuna: la distruzione. Per questo l’immagine di Roma in fiamme è una delle cartoline del mondo antico che più restano impresse. Lo stesso motivo per cui, nel Novecento, sono gli Stati Uniti ad attirare su di sé i più grandiosi sogni di conquista e distruzione. Se la prima metà del secolo breve consuma il suicidio dell’Europa rispetto a ciò che sperava di essere (le guerre mondiali non sono per il Vecchio continente un incendio rigeneratore, ma una doppia certificazione sulla fine della modernità) è in America che si trasferisce lo spirito faustiano e l’ansia di rinnovamento, il sogno di rinascita e la più canagliesca fame di ricchezza dell’Occidente.
Il fuoco e ciò che rappresenta – basta un attimo, e anche l’ambizione di un gigante diventa cenere – è così l’incubo più temuto e al tempo stesso lo spettacolo evocato con più frequenza da chi si occupa di immaginario.
Pensate all’incendio di Atlanta del 1864. Quell’episodio segnò la Guerra di Secessione. Dalla distruzione un nuovo ordine. Non è un caso se Margaret Mitchell gli dedicò un momento chiave di Via col vento – un respiro talmente ampio, quello della Mitchell, da portare anche i lettori progressisti a empatizzare con i confederati.
Nella versione cinematografica, la distruzione di Atlanta è spettacolare. Fu la prima scena girata del film, quando ancora non si sapeva che il ruolo di Scarlett O’Hara sarebbe stato affidato a Vivien Leigh. Per realizzare l’incendio, George Cukor utilizzò anche le scenografie di vecchi film tra cui quella del celebre King Kong del 1933. Cukor venne “bruciato” a propria volta: il produttore David O. Selznick lo sostituì con Victor Fleming.
Un incendio chiude Assalonne! Assalonne!, uno dei capolavori di William Faulkner. Qui a bruciare è una casa, non un’intera città, ma le fiamme che divorano le scale e le porte e le assi e la veranda della tipica abitazione del Sud simboleggiano l’ascesa e la caduta di Thomas Sutpen, simbolo a propria volta dell’americano che arriva dal nulla in una nuova città e costruisce un impero armato solo del proprio desiderio di affermazione e di una forza di volontà capace di travolgere ogni ostacolo. Un incendio devasta la casa della famiglia Ames ne La valle dell’Eden di John Steinbeck, brucia l’odio razziale in Mississippi Burning di Alan Parker, e un atto di piromania segna la vita di David, protagonista Un amore senza fine di Scott Spencer.
Attratto dal fuoco è anche David Lynch, il regista che ha più indagato il cuore di tenebra degli Stati Uniti alla fine del Novecento. A parte il titolo del suo sesto lungometraggio ( Fuoco cammina con me), il più rappresentativo incendio di Lynch è forse quello in cui muore il padre di Lula in Cuore selvaggio per ordine di Marietta, moglie dell’assassinato nonché reincarnazione della malvagia Strega dell’Est nel Mago di Oz.
Davanti ai capricci della natura possiamo poco. Ma quando Prometeo rubò il fuoco agli dei ottenne anche una licenza per indagare le zone più inquietanti della nostra anima.