Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  luglio 26 Martedì calendario

Non solo armi, Beretta punta tutto sulla liquidità. E fa bene

I poligoni della storica fabbrica d’armi Beretta si trovano in un bunker dentro la roccia. A metà della Val Trompia, precisamente a Gardone. Durante la Seconda Guerra parte della produzione di armi venne trasportata dentro i tunnel per evitare che le fortezze volanti alleate facessero saltare in aria torni e macchinari. In ogni caso, a ridosso della pietra gli armaioli della Beretta si sono sempre sentiti a loro agio, eredi come sono dei Galli Cenomani. I quali furono a fatica vinti dai romani e poi confinati nella stretta valle bresciana a confezionare spade e lance per i legionari che li avevano sconfitti.
Quando secoli dopo arrivò la polvere da sparo ci volle poco a convertirsi in esperti di canne da fuoco. Non è un caso se Pietro Gussalli Beretta, numero uno di Beretta Holding, segni oggi la quindicesima generazione di una famiglia entrata nel mondo delle armi nel 1526 e ancora oggi l’unica multinazionale del comparto privata e in mano ai discendenti della medesima famiglia fondatrice. Salda nelle tradizioni bresciane e rispettosa delle strategie delle 28 aziende del gruppo che a partire dal 1995 è andata conquistando qua e là nei vari continenti. Con una strategia di crescita che ha reso la matrice, la fabbrica d’armi da cui tutto si è sviluppato, uno dei pilastri della holding. Non l’unico. «Noi non diversifichiamo in altri settori», spiega in modo schietto a Libero Pietro Beretta, «Non l’abbiamo fatto in passato e non lo faremo in futuro. Perché continueremo a percorrere i tre sentieri che segnano la nostra filosofia e che contraddistinguono i nostri clienti: i cacciatori, i poliziotti e i militari. Seguendo la medesima strada, la holding ha sviluppato la globalizzazione del gruppo con 27 acquisizioni in due decenni». Per inquadrare i numeri, la fabbrica d’Armi ormai rappresenta circa il 25% del fatturato, il mondo delle ottiche è arrivato a 95 milioni su un consolidato complessivo di oltre 660 (pari al 15% del gruppo). L’abbigliamento sale del 4% con un fatturato di circa 35 milioni. Mentre il giro d’affari legato alla difesa e all’ordine pubblico per via dell’andamento ciclico scende dal 17% all’11% del totale. Senza dimenticare gli Stati Uniti sono mercato che pesa per il 50% del fatturato e dove la holding ha inaugurato uno stabilimento in Tennessee all’interno di una mappa di investimenti che vale mediamente 40 milioni all’anno e si somma ai circa 20 puntati su ricerca e sviluppo.
«Abbiamo ormai», prosegue Beretta, «la possibilità di coprire l’intera gamma prodotti in tutto il mondo. Certo andremo avanti a cercare opportunità di sviluppo e aziende da acquisire. Mi viene in mente che nel comparto dell’abbigliamento tecnico militare c’è molta strada da percorrere e siamo altrettanto consapevoli che il “soldato” in futuro avrà necessità di dotazioni sempre sofisticate e nel contempo di accessori che lo tengano connesso per più giorni. Queste sono esigenze destinate a tramutarsi in un mercato molto interessante». Nelle ultime settimane, l’azienda ha messo nel mirino l’ennesima preda. Ha quasi formalizzato l’acquisto di un piccolo produttore inglese di gas lacrimogeni per l’ordine pubblico, un modo insomma per fornire alle polizie un kit più completo e chiavi in mano. «Abbiamo dalla nostra», prosegue il numero uno della holding, «una gamma prodotto testata, riconosciuta come innovativa e una rete commerciale capillare. Man mano, inseriamo nuovi prodotti purchè abbiano la medesima qualità delle armi Beretta. Inoltre, abbiamo la calma necessaria per valutare attentamente le acquisizioni e la liquidità per agire al 100% con nostra la cassa». Una delle rarità del gruppo, infatti, è quella di avere fuori dall’uscio la coda di banche d’affari per proporre joint venture o prede da inserire nella cartucciera. Con un margine operativo lordo di 103 milioni, un utile netto di 47, la holding ha una posizione finanziaria netta positiva per 116 milioni. Un monte di denaro che in questi tempi di dannazione per le banche inserisce di diritto l’azienda nell’Olimpo della liquidità. «Forse se fossimo quotati», conclude Pietro Gussalli Beretta, «qualche analista storcerebbe il naso, ma noi crediamo che affidarsi sempre alle proprie forze consenta di analizzare il mercato e le possibili prede con maggiore lucidità. In fondo ci è bastato reinvestire gli utili per finanziare la crescita e non distribuirli». La scelta è stata vincente. D’altronde se ogni generazione pensa al futuro della successiva ci vuole – lapalissiano – lungimiranza.