La Stampa, 26 luglio 2016
Nella casa-fortezza di Gulen per parlare del golpe, tra militari, elicotteri e preghiere
Un uomo armato e vestito di nero esce dalla guardiola, dall’aspetto sembra mediorientale. «Posso esservi utile?». «Cerchiamo Fethullah Gulen». Siamo a Saylorsburg, 150 km a nord di Filadelfia, estremo lembo della Pennsylvania orientale, una cittadina della contea di Monroe di poco più di mille abitanti incastonata tra i boschi delle montagne Pocono. Ci si arriva attraverso strade simili a mulattiere asfaltate, costellate ai lati di ville e villette in stile americano abitate sovente da famiglie di origine turca. Tra qui e la vicina Wind Gap vive una nutrita comunità proveniente da Tracia e Anatolia, «ben integrata ma radicata nella propria cultura», ci dicono i commercianti del posto. Tra loro c’è anche Muhammed Fathullah Gulen, il predicatore e insegnante di Hanafi, interpretazione dell’Islam sunnita, fondatore dei movimenti Hizmet e «Alliance for Shared Value». Nel 1998 ha lasciato la Turchia dopo essere stato incriminato di aver tramato per instaurare un esecutivo islamico. Dopo il 1999 si è trasferito negli Usa, a Saylorsburg, dove risiedevano alcuni affini: qui conduce una vita ritirata e con qualche problema di salute. Era un alleato di Recep Tayyip Erdogan prima della rottura nel 2013, ora è il suo più acerrimo nemico: «Il Paese non sarà guidato da una casa della Pennsylvania», disse il presidente turco nella nota intervista su Facetime durante il tentato golpe. Di quella casa abbiamo seguito le tracce che ci hanno portato al «Golden Generation Worhip & Retreat Center», il centro fondato dalla comunità turco-americana di Pennsylvania, New Jersey e New York, come «punto di riferimento per chi condivide i valori dell’Islam e quelli su cui è fondata l’America».
Quella persona armata, vestita di scuro e dai modi cortesi, è membro dell’esercito al servizio di colui che Erdogan considera la mente del golpe coi suoi «fiancheggiatori americani». Fa parte del primo cordone di controllo della residenza-fortezza, una specie di castello dove ha sede il Centro chiuso al pubblico e l’abitazione di Gulen. Sono un centinaio di uomini addestrati militarmente e osservanti della dottrina «Hocaefendi», per cui, ad esempio, non si uniscono in matrimonio sino ai 50 anni. Sulla proprietà di oltre 110 mila metri quadrati si ergono un enorme chalet, che rappresenta la struttura centrale, dove al primo piano c’è una sala da pranzo per le guardie della magione. Il secondo è uno spazio aperto con divani e biblioteca dai volumi preziosi sul’Islam e l’Hocaefendi dove i discepoli si dedicano alla palestra spirituale di cultura e religione. Attorno allo chalet ci sono centri ricreativi, dormitori, foresterie per ospiti, campi da basket, da calcio e una pista per gli elicotteri. Alle donne non è concesso dormire nel centro, per loro sono state adibite strutture ad hoc sulla stessa Mt. Eaton Road. Il centro è dotato di poligoni di tiro dove le guardie islamiste si addestrano sollevando le ire degli abitanti «disturbati dall’insistente rumore delle raffiche di armi automatiche e del volo basso degli elicotteri». A nulla sono valse le proteste, anche della stessa comunità turca, che proprio in occasione del golpe ha sfilato davanti alla proprietà accusando Gulen di essere il cospiratore che mina i destini della loro nazione (e la sicurezza dei loro cari in patria). È anche intervenuta l’Fbi e l’Homeland Security ha invocato la sua espulsione, ma lui è intoccabile grazie a una sentenza della Corte suprema che ne stabilisce il fondamentale ruolo che riveste nel campo dell’istruzione. Gulen è quasi un’entità eterea, in esilio autoimposto nei suoi appartamenti al terzo piano dello chalet. «Il dottore gli ha consigliato il massimo riposo», ci dicono i suoi uomini attraverso i quali Gulen ci recapita un messaggio. «Se siete qui per chiedermi del golpe vi dico che lo condanno nella maniera più assoluta, perché sono convinto che al governo si arriva con elezioni libere e trasparenti, non con la forza. Prego Dio tutti i giorni per la Turchia, per i cittadini turchi, affinché la situazione si risolva velocemente e pacificamente. Ma voglio anche dirvi che, avendo io stesso sofferto molto a causa di colpi di Stato negli ultimi 50 anni, è un insulto gravissimo dire che abbia qualsiasi legame con tutto questo».