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 2016  luglio 26 Martedì calendario

Come sarebbe stato bello il fumetto con Umberto di Savoia combattente partigiano. Hugo Pratt prima di Corto Maltese

Verso la fine della seconda guerra mondiale i disegnatori di fumetti italiani si trovavano in difficoltà, soprattutto quelli più consapevoli che volevano rispecchiare la realtà più che la fantasia. Era chiaro che gli alleati stavano vincendo la guerra e dappertutto le storie dei fumetti si erano adeguate. Negli stati uniti Arcibaldo e Petronilla, Cino e Franco, Flash Gordon e altri un tempo famosi che riempivano nel passato le pagine dei comix erano quasi scomparsi. Oramai tutti i protagonisti venivano dalle forze militari. Il più popolare e il più famoso era Steve Canyon, disegnato da Milton Kaniff mentre scendeva o saliva dai B29, chiamate le fortezze volanti, in attesa di andare a sganciare la bomba atomica in un’altra città giapponese, visto il successo di Nagasaki e Hiroshima. Steve Canyon era un bel ragazzo, all american, con la mascella larga e capelli a spazzola e i denti bianchi inossidabili, che indossava sempre quando era in azione un giubbotto da pilota con colletto di pelliccia chiamato obbiettivo Bulma. Mentre passeggiava indossava un impermeabile simile a quello del generale McArthur, il Cesare del pacifico.
La fortuna di questi fumetti si doveva anche al montaggio e alla scenografia. Milton disegnava molte tavole con primi piani, una tecnica che era copiata dal cinema. Questi primi piani erano come degli zoom su bocche sensuali, tacchi a spillo, seni prorompenti che davano alle sue storie un’aria surreale ed erotica.
In Italia la situazione era completamente diversa, era impossibile fare un eroe che fosse fascista, almeno per i disegnatori che avevano un minimo di sensibilità. I protagonisti delle storie italiane che comparivano sui giornali avevano tutti un aspetto impiegatizio a mezze maniche e la loro canzone era Se potessi avere mille lire al mese. Il più famoso di tutti era Il Signor Bonaventura: «Qui comincia la sventura / del signor Bonaventura».
La storie più lette in torno agli anni Trenta erano quelle dei Tre Boy Scout che nella versione italiana venivano presentati come un romano, un genovese e un milanese, mentre in realtà erano tutti parigini disegnati da Jean De La Hire.
Alla ricerca di un protagonista che fosse non fascista ma che tenesse conto in qualche modo del passato fascista, che fosse italiano non coinvolto con i servizi segreti dell’Ovra, Hugo Pratt arrivò a riciclare un personaggio notissimo e amatissimo nell’Italia post-risorgimentale, la tigre della Malesia: Sandokan. Ma dopo qualche tentativo Pratt capì che il personaggio era troppo orientale, troppo tigre della Malesia per rappresentare un italiano del dopoguerra. La serie andò a finire nel dimenticatoio.
Una volta, parlando con Pratt dei suoi personaggi, mi disse che qualcuno gli aveva suggerito di prendere come protagonisti o Amedeo d’Aosta o il principe ereditario, Umberto di Savoia. All’epoca Amedeo era avvolto in una nube di eroismo che impediva di giudicare la sua tattica disastrosa al comando delle truppe italiane nell’Africa Orientale: «Io – mi raccontò Pratt – sono arrivato nell’Africa Orientale nel 1937 come figlio di un coloniale italiano e conoscevo benissimo gli errori commessi dal duca di Aosta, era un figura molto estetica che sarebbe stato bellissimo da disegnare, ma che nascondeva un segreto. Il duca voleva fare un armistizio con gli inglesi per fare la pace e farsi nominare re al posto di Vittorio Emanuele».
«Anche Umberto – proseguì – era uno strano personaggio. Molto più amato in Italia del Re, un personaggio elegante e di buon cuore, il suo errore fu di accodarsi al padre e ai generaloni in fuga l’8 settembre, lasciando Roma senza difese. Mi hanno detto poi che Umberto durante il tragitto si lamentava molto e diceva in continuazione “che vergogna, che vergogna” ma invece di comportarsi come un ragazzino delle elementari che ha fatto qualche marachella avrebbe dovuto prendere a calci nel sedere i generaloni felloni, scendere dall’auto e unirsi alla macchia piena di partigiani. E poi dopo un periodo di assestamento e dopo essere saltato in aria per una bomba nascosta nel terreno e aver perso la gamba Umberto sarebbe stato pronto a dare l’assalto a combattere con i partigiani in qualche brigata Garibaldi, io lo vedevo bene mentre andava all’attacco di via Tasso impugnando da una parte una stampella da mutilato con i calzoni tagliati e riattaccati con una spilla da balia, e dall’altra un mitragliatore Thompson come quelli usati dai mafiosi italoamericani di Chicago per andare a colpo sicuro, di quelli con la cartucciera tonda sopra la canna».
«Pensate – concluse Pratt – che belle tavole sarebbero venute con Umberto disegnato accanto a Trombadori, capo dei Gap romani, mentre lancia il suo grido di guerra “Attacco, attacco, A li morte’” con a fianco tutti i cappisti romani, donne come la Muso, Emilio Mafai, nel ruolo di staffetta, lanciando bombe a mano. Sarebbe diventato così popolare da essere eletto re d’Italia, e non per meriti dinastici ma dal popolo».
Ma la storia rispecchia non il desiderio degli uomini ma degli dei invidiosi degli uomini e risulta sempre diversa da come la vogliamo.