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 2016  luglio 24 Domenica calendario

Il Califfo soffre in Siria e in Iraq e si espande in Afghanistan

Kabul come Baghdad. Un attacco brutale a uomini, donne e bambini, a intere famiglie colpevoli solo di essere di etnia hazara e soprattutto sciiti. Il massacro di ieri porta l’Afghanistan al centro della grande guerra civile dell’Islam, fra sunniti e sciiti, e segna un’altra tappa dell’espansione dell’Isis nell’Asia centrale e meridionale. Il Califfato è in ritirata lenta ma inesorabile in Iraq e Siria, sconfitto in Libia, senza grandi prospettive in Sinai. 
Il wilaya, la provincia, del Khorasan resta invece promettente. Soprattutto la porzione afghana. La Nato sta riducendo la sua presenza nel Paese. Da un picco di 140 mila uomini fra il 2011 e 2012 a circa 15 mila nel 2017. I rivali di Al-Qaeda non sono presenti, se non in piccole unità. Ci sono i taleban, alleati, anzi qualcosa di più, di Al-Qaeda. Ma non sono un gruppo jihadista globale, come i due grandi rivali.
Ayman Al-Zawahiri ha giurato fedeltà al nuovo Emiro dei Taleban, Haibatullah Akhondzada, dopo l’uccisione a metà maggio del Mullah Akhtar Mansour da parte di un drone Usa nel Sud-Ovest del Pakistan. Il gesto del leader di Al-Qaeda forse serviva a dare una statura da anti-Califfo al Mullah Haibatullah. Ma i Taleban rimangono attaccati all’agenda nazionale, riconquistare la maggior parte dell’Afghanistan e possibilmente Kabul, anche con l’aiuto di islamisti di etnia non Pashtun.
Il wilaya Khorasan nasce con altri progetti. Ingloba in teoria quella che era una provincia dell’impero abbaside che andava dall’Uzbekistan, al Tagikistan, all’Afghanistan, fino al fiume Indo. Il wilaya viene proclamato nel gennaio del 2015, uno dei primi fuori da Siria e Iraq. Viene nominato come governatore un intellettuale islamista di Jalalabad, una città al confine fra Afghanistan e Pakistan: Sheikh Abdul Rahim Muslim Dost. Predicatore, giornalista, poeta, Dost era fra i massimi ricercati delle forze di sicurezza pachistane, è stato catturato dagli americani dopo l’11 settembre e ha passato tre anni a Guantanamo, per essere poi rilasciato nel 2005.
Dost è un salafita puro come piacciono ad Al-Baghdadi. Nel 1979 era fra gli uomini che assaltarono la Grande Moschea della Mecca con l’obiettivo di rovesciare la dinastia dei Saud e impossessarsi dei Luoghi Santi. Nel qual caso avrebbero distrutto anche la tomba del Profeta a Medina e la stessa Kabah, in quando «idoli». Un’ideologia che predica la distruzione degli «infedeli», soprattutto gli sciiti, e che si inserisce perfettamente nel clima d’odio per gli hazara. Che tra l’altro combattono a migliaia in Siria contro i gruppi sunniti, compreso l’Isis.
Il nucleo di fuoco del wilaya Khorasan è invece composto da fuoriusciti del gruppo pachistano Tehrik-e Taliban (Ttp), che hanno seguito nel novembre 2014 il comandante Hafiz Saeed Khan, il primo a proclamare bayah, giuramento di fedeltà al Califfo. Fra le figure di spicco anche lo Sheykh Maqbool, meglio conosciuto come Shahid Shahidullah, che ha fatto a lungo il portavoce del Ttp.
Lo schema afghano-pachistano segue quindi quello di altre province «remote». Un gruppo jihadista si stacca dal solco qaedista e cerca di imporsi fra gli estremisti con la brutalità e la «purezza» del credo salafita. È stato così con Abu Sayyaf nelle Filippine, dove sta per essere istituita una nuova provincia. Ed è stato così con Al-Maqdis in Sinai e il Jund al-Khilafa in Algeria.