Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  luglio 24 Domenica calendario

La strage di Monaco e il potere dell’emulazione

Un ragazzino frustrato, forse instupidito dai videogame, affascinato dalle stragi dei cosiddetti lupi solitari. Tanto basta a seminare morte in una grande città tedesca, paralizzarla, monopolizzare per una notte intera i media dell’intero Occidente, capovolgere palinsesti e agende politiche. Il potere del piccolo stragista di Monaco, come dei suoi colleghi di ogni ordine e grado, va ben oltre il “qui e ora”: ne uccide dieci per sequestrarne un miliardo, strappandoli alle loro abitudini, costringendoli a prestare attenzione alla sua miserabile storia di solitudine e di pazzia.
L’emulazione, in questo caso, è tutto; e ancora di più lo sarà nei prossimi malaugurati ma probabili casi, nei quali l’emulatore sarà emulato, e così via in un contagio che ha nell’impatto mediatico il suo invincibile moltiplicatore. Non ci sono soluzioni facili, non esistono ricette buone per tutte le occasioni, ma è ora di prendere atto che questo genere di terrorismo “non pensato”, non ideologico, che si sovrappone al terrorismo islamista e in qualche modo lo completa, allo stesso modo di ogni terrorismo trova nella sua enorme, incontrollabile diffusione mediatica un vero e proprio movente. Ben oltre il sangue, il delitto si riverbera in modo esponenziale nello sguardo annichilito della società; e imporsi all’attenzione del mondo è, come è noto, uno degli scopi fondamentali dei frustrati di ogni ordine e grado. “Finalmente vi siete accorti che esisto!”. In un battibaleno, da zero a un miliardo di followers.
La polizia tedesca ha supplicato – abbastanza inutilmente – la comunità mediatica, dalle televisioni ai social, di non diffondere immagini della strage; pregando al tempo stesso di consegnarle agli inquirenti. Ma la comunità mediatica (cioè noi) è, su questo punto, irriflessiva e inguaribile. Probabilmente avverte, o comincia ad avvertire, che qualcosa non va, che il controllo dell’“effetto che fa” non può essere determinato solo dall’efferatezza dell’attentatore, dal numero delle vittime, dalla prossimità del crimine al cuore dell’Europa o dell’America. La macchina gigantesca dei media non può lasciarsi manovrare da un ragazzino di diciotto anni uscito di senno.
Riprendere i comandi, ammesso che ci si possa riuscire, non è per niente facile. “Strage a Monaco di Baviera” è, di per sé, una notizia che costringe a torcere lo sguardo e a ficcarlo proprio lì, sulla carneficina in corso. Simulare indifferenza è impossibile. Invocare la censura contraddice la natura stessa dell’informazione, almeno nei paesi a democrazia più o meno attiva, più o meno compiuta.
Però nei modi e nei toni, e anche nel dosaggio; nell’obbligo di mostrare nervi saldi che è di tutte le istituzioni e tutti i poteri, compreso il potere mediatico; perfino nell’orgogliosa necessità di non lasciare che ogni agenda, politica o mediatica o professionale, cada per ore, a volte per giorni nelle mani di un paranoico o di un idiota o di un perverso; forse qualcosa possiamo provare a farla.
Per fare il più innocente degli esempi, un giornale radio dell’altra sera (un buon giornale radio, tra l’altro) apriva con un assordante rumore di spari il suo servizio da Monaco di Baviera. Erano – presumo – gli spari di Monaco registrati da uno smartphone. Quegli spari non aggiungevano nulla al servizio; semmai rendevano meno intellegibile la voce del giornalista. Quegli spari aggiungevano qualcosa, purtroppo, solo al frastuono omicida imposto dal killer. Se non vogliamo ridurci all’eco passiva di ogni esplosione nel mondo, dobbiamo cominciare a ripensare ad alcuni aspetti, alcune abitudini, alcuni vizi della società dello spettacolo.
Spettacolo e informazione non sono la stessa cosa.