la Repubblica, 22 luglio 2016
La Russia a Rio? Ancora un altro no. Ora il Cio deciderà se escludere l’intero sport russo
Ancora un“nyet”. Il penultimo forse. Il Tas di Losanna smonta quel che restava di una possibile squadra russa di atletica leggera a Rio de Janeiro: il ricorso dei 67 su 68 che avevano chiesto di poter gareggiare è stato respinto. Ora tutto torna in mano al Cio che dopo aver preso tempo nei giorni scorsi con il rinvio della sentenza, potrebbe a questo punto escludere l’intero sport russo dai Giochi: «Decideremo entro domenica». La reazione del Ministro dello sport Mutko è stata durissima: «Una decisione senza basi giuridiche. E la Iaaf è completamente corrotta. Potremmo ricorrere alla giustizia civile». Forse non c’è mai stata una vigilia olimpica più triste, più fosca, così densa di parole angoscianti che spengono l’agonismo e il piacere di competere, di accuse, sospetti, morti, di doping che entra e esce dai discorsi come un elastico avvelenato, di spie e di aspiranti apolidi. Per decidere di boicottare Mosca 1980 e Los Angeles 1984 ci misero un attimo, a confronto. «Scelta dolorosa ma inevitabile, stiamo lavorando con la Russia per riportarla alla liceità», dice il presidente della Iaaf Sebastian Coe. Ma con il Tas che di fatto riconosce al Cio l’ultima parola, limitando la propria «giurisdizione», il quadro è sempre più confuso. Più si avvicinano le gare, quali che siano, più l’aspetto etico si sgrana in un mosaico di opinioni lasciando il campo allo scontro politico, al contrapporsi degli schieramenti, ognuno debole a modo suo. Il siero del dubbio è stato inoculato: e se nessuno avesse ragione? Confuse sono le strutture accusate di reato, confusi sono gli enti che le stanno ancora giudicando. Il “panel” del Tas composto da un italiano, un americano e un inglese ha respinto il ricorso per una questione puramente normativa: non si può considerare “eleggibile” un atleta che appartenga a una federazione sospesa. Il doping non c’entra nulla. Ma allora perché hanno detto sì alla Klishina? La bella lunghista vivrà anche negli Stati Uniti. Ma è ancora russa. O no? E poi: cosa vuol dire «a meno che non rispondano a determinati criteri?». Quali altri criteri? Che facciano la spia? Imbarazzati gli atleti: «È triste veder fuori la Russia, ma le regole sono regole e questa decisione spaventerà molti», afferma Usain Bolt, che stasera, per tornare ogni tanto a parlare anche di sport praticato, stasera (21.50 Fox Sports) dovrà dimostrare a Londra di essere in grado di correre un 200 abbastanza veloce per non smentire la decisione aprioristica del suo Comitato olimpico di mandarlo ai Giochi anche senza tempo e con un infortunio da smaltire. «Provvedimento durissimo ma forse provvedimento giusto», confessa Renaud Lavillenie. «Senza la Russia sarebbe il funerale dell’atletica», esclama la Isinbaeva coinvolta in prima persona. Iscritte solo Stepanova (che al 90% non correrà) e Klishina. La vera “pollution” di queste Olimpiadi non sono i frigoriferi che galleggiano sul mare di Guanabara Bay ma la scure che taglia in tre lo sport: la parte pulita, la parte sporca, la nebbia che avvolge entrambe. La vera paura non è Zika ma il timore che senza Russia, se il Cio pressato da 14 agenzie antidoping dovesse bandire da Rio l’intero paese, lo sport vincerebbe e insieme perderebbe: anche per aver consentito che qualcuno aggirasse le regole così a lungo e con metodo, sino a (ri)generare il doping di stato (come recita il report della Wada e come dichiararono Stepanova e consorte, un ex dell’antidoping russo, nel dicembre del 2014 alla tv tedesca). Un maledetto imbroglio. «Non boicotteremo i Giochi e potremmo appellarci al Comitato etico della Iaaf», dice l’entourage di Putin, dimenticando che la Iaaf è «corrotta». La speranza sembra l’ultima cortina di ferro ancora in piedi. Cadrà pure quella?