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 2016  luglio 22 Venerdì calendario

Ecco chi è il vero protagonista del libro di Albinati

«Fu Arbus ad aprirmi gli occhi». Così comincia La scuola cattolica di Edoardo Albinati, vincitore del Premio Strega, introducendo sin da subito questo personaggio mitizzato, dal nome che evoca la natura, la tecnologia, i cieli. Un personaggio è una realtà autonoma una volta fissato sulla pagina, ma è legittimo indagare la sua genesi, la segreta alchimia in cui il reale viene plasmato in una finzione che ha la pretesa di rispecchiarlo e perfino di spiegarlo. In una riunione accademica un carissimo collega svela la sua identità con la pacatezza che lo contraddistingue. Messaggio ad Albinati: «Sto con Arbus». Punti interrogativi, esitazione. Una volta detto il nome, lui conferma scherzosamente la scoperta.
Si tratta di Alessio Plebe, laurea in ingegneria, figlio del filosofo Armando, studioso di scienze cognitive e reti neurali presso l’Università di Messina. Ne conosciamo le doti di intelligenza che lo avvicinano ad Arbus, ma anche la grande sensibilità. Ha studiato al San Leone Magno perché il padre, ateo convinto, cercava un ambiente protettivo nel pieno delle tensioni del 68. Nel romanzo è il genio compreso, il primo della classe, lo specchio in cui l’autore proietta per contrasto le riflessioni sulla vita; l’eroe molto umano che serve per definire le dinamiche sottili e rischiose della scuola; il perno che dà l’abbrivio alla parte narrativa in un libro in cui, come in Thomas Mann e in Musil, la riflessione e la digressione sovrastano il racconto. Non è altrettanto prestante negli sport. La vecchia lisca di pesce è esposta agli attacchi dei bulli. Se la palla fosse andata sulle travi del soffitto, lui non se ne sarebbe accorto, assorbito nel calcolo del calcestruzzo necessario a sostenerlo.
AMMIRAZIONE
Albinati ammira la sua forza nel sostenere insulti e invettive. La letteratura aggiunge agli eventi una profondità psicologica che spesso questi non possiedono perché condizionati dai fraintendimenti mentalistici della percezione. «Edoardo scrive che non si sentiva a proprio agio, mentre io presumevo la sua tranquillità interiore. Era sempre serafico, con la risposta giusta. Il mio mito poi erano lui e Lodoli, capaci di cose più importanti che risolvere equazioni». La cultura umanistica lo seduce nonostante i problemi con l’italiano, rilevati con durezza dal professore Cosmo, alias Walter Mauro, che però lascia il segno su tutti. Ed è da antologia il brano in cui Arbus si chiede cosa voglia dire esprimere se stessi nella propria lingua.
Alessio ricorda il bullismo di Angelo Izzo che sarà tra i criminali del Circeo. Cercava di non aver paura, ma, a differenza di Arbus, era terrorizzato da quella gente. Scambiare due tiri a pallone era la scusa per uno spintone, per fare volare gli occhiali. Non avrebbe immaginato il destino di Izzo perché si pensava che le sue intemperanze fossero dovute alla sua esuberanza caratteriale. La scuola cattolica è la messa in scena di quanto la violenza sia connaturata all’animo umano e al genere maschile biologicamente costretto alla sopraffazione già nell’atto sessuale e storicamente costretto alla baldanza del farsi valere. «Nascere maschi e una malattia incurabile» è la frase memorabile del libro scritta a commento della goffaggine di Arbus e di tutto quell’insieme artificioso di gesti e posture creati per ottenere l’approvazione e guadagnarsi il riconoscimento dei compagni.
Plebe non è stato immune da questo gioco stanco e ripetitivo, con ripercussioni ammortizzare negli anni, ma senza gli strascichi del romanzo. Ha compiuto l’esercizio consigliato da Albinati per verificare introspettivamente quanto sia presente in tutti una scintilla di violenza imparentata con le atrocità del delitto del Circeo, ma non ha trovato quel nesso tra sessualità e violenza che viene suggerito come recondito tratto universale. In uno dei capitoli finali – Le confessioni – racconta di essere stato sospeso dall’università per una storia equivoca e finisce per diventare forestale. Nulla di tutto ciò è accaduto ad Alessio Plebe tranne il fatto che per un periodo è andato a studiare i lupi nell’Appenino, come si racconta a pagina 1037 di questo lunghissimo romanzo le cui pagine adesso si propagano anche fuori. Nelle vite e nei destini dei compagni della scuola cattolica.