la Repubblica, 22 luglio 2016
È il momento del mediatore, è il momento di Draghi
In ogni negoziato arriva il momento del mediatore. Ieri Mario Draghi ha di fatto avocato a sé questo ruolo nella complessa discussione sulle banche italiane che da mesi divide il governo e la Commissione Europea. Da italiano a Francoforte, il presidente della Banca Centrale Europea è un pontiere naturale tra due visioni della nostra crisi bancaria che sembrano molto difficili da conciliare. Ma la strada segnata da Draghi lascia ancora troppi dettagli irrisolti per far presagire una conclusione felice della vicenda.
Nella conferenza stampa al termine della riunione del consiglio direttivo della Bce, Draghi ha aperto alla possibilità di un intervento pubblico nelle banche italiane. Le sue parole riecheggiano quelle pronunciate con insistenza dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che da mesi si batte per avere un paracadute statale per le banche in difficoltà. Per Draghi inoltre il problema dei crediti deteriorati, che gravano sui bilanci delle nostre banche rendendole sempre meno appetibili per gli investitori, richiede tempi di smaltimento necessariamente lunghi. Un aiuto di Stato in circostanze eccezionali è un modo per evitare le “svendite” che tanto turbano i nostri banchieri, politici, e regolatori.
Il sostegno di Draghi alla visione romana della crisi non è però incondizionato. Il presidente della Bce è giustamente convinto che sia opportuno cominciare ad affrontare il problema di incagli e sofferenze in tempi rapidi, perché questi problemi espongono le nostre banche alla volatilità dei mercati. Draghi non chiede poi una revisione delle norme sul coinvolgimento degli obbligazionisti nei salvataggi bancari, tema che tanto appassiona la nostra classe dirigente e imprenditoriale. Per l’ex governatore di Bankitalia, le direttive europee contengono sufficiente flessibilità per permettere interventi che salvaguardino il principio del cosiddetto “bail in” senza mettere in pericolo la stabilità finanziaria.
La strada segnata ieri a Francoforte sembrerebbe puntare decisa verso la cosiddetta “ricapitalizzazione preventiva” delle banche italiane in difficoltà. Fra queste, la prima beneficiaria sarebbe il Monte dei Paschi di Siena, l’istituto di credito italiano che più rischia di fallire gli stress test che l’Autorità bancaria europea pubblicherà alla fine della settimana prossima.
Il governo italiano sogna una soluzione “di mercato”, che vedrebbe Mps cedere una buona parte dei suoi crediti deteriorati al fondo salva-banche Atlante. Questo sarebbe il preludio a una fusione con un partner come Ubi Banca o a una ricapitalizzazione da parte di privati.
Ci sono però ostacoli non banali davanti a questa strategia. La ricapitalizzazione necessaria dipenderà dal prezzo a cui Atlante acquisterà i crediti deteriorati. Un prezzo troppo alto rischia di provocare forti perdite per il veicolo guidato da Alessandro Penati, che ne minerebbero la credibilità nei confronti del mercato. Soprattutto, il Monte ha già scottato troppi investitori e non è chiaro chi abbia interesse a mettervi del capitale fresco. L’intervento pubblico resta dunque una possibilità concreta.
Draghi ha ragione a dire che le norme europee contengono abbastanza flessibilità. La ricapitalizzazione preventiva richiede il bail in degli obbligazionisti subordinati, per evitare che lo Stato salvi chi ha prestato denaro in cambio di interessi spesso lauti, ma c’è un’eccezione che può essere invocata in caso di rischio sistemico.
Tuttavia, come il presidente della Bce ha ricordato ieri, le condizioni a cui permettere un eventuale aiuto pubblico dipendono dalla Direzione generale della Concorrenza della Commissione. Il Commissario Margrethe Vestager si è già detta scettica della necessità di salvaguardare gli obbligazionisti, ricordando come in salvataggi simili in Spagna, Slovenia e Grecia questa accortezza non sia stata usata, provocando uno stallo nelle negoziazioni.
La divisione dei poteri e il galateo istituzionale impongono a Draghi di tacere. Ma in una congiuntura così delicata per la ripresa italiana e europea sarebbe opportuno che la Bce prenda una posizione pubblica sull’argomento. Il bail in degli obbligazionisti junior di una delle principali banche italiane provocherebbe una corsa agli sportelli? Oppure l’Italia sta presentando argomenti pretestuosi per evitare un problema politico al governo Renzi e nuove critiche alla vigilanza di Consob e Bankitalia?
I guardiani della stabilità finanziaria dell’eurozona hanno le competenze e l’autorevolezza per dare una risposta ben informata a queste domande. Oltre che di un mediatore, le banche europee hanno bisogno di un arbitro che si affianchi alla Commissione.